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martedì 19 aprile 2011

MEDIO ORIENTE: L'UTOPIA DELLA PACE. 17/17 Tesina - maturità 2010

BIBLIOGRAFIA

Dario Del Corno, La letteratura greca - 1. Lʼetà arcaica, Principato, 2003.

Dario Del Corno, La letteratura greca - 4. Lʼetà ellenistica e lʼetà imperiale, Principato, 2003.

Anna Rosa Guerriero - Nara Palmeri, Scenari, 2b lʼOttocento, La Nuova Italia, 2005.

Alberto De Bernardi - Scipione Guarracino, I saperi della storia 3b, Bruno Mondadori, 2006.

Nicola Abbagnano - Giovanni Fornero, Il nuovo protagonisti e testi della filosofia - volume 2b, paravia, 2007.

Pier Luigi Del Nista - June Parker - Andrea Tasselli, nuovo Praticamente Sport, Casa editrice G. DʼAnna, 2003.

Georges Corm, Storia del Medio Oriente, Jaca Book, 2009.

Maurizio Bettini, Limina - Letteratura e antropologia di Roma antica, La Nuova Italia, 2005.

Antonio Caforio - Aldo Ferilli, Dentro la fisica 2, Le Monnier Scuola, 2007.

Elvidio Lupia Palmieri - Maurizio Parotto, La terra nello spazio e nel tempo - Seconda edizione, Zanichelli, 2009.

M. Scovenna, Profili di matematica 2 - Analisi matematica, CEDAM scuola, 2004.

SITOGRAFIA

http://www.wikipedia.org

http://www.orientecristiano.com/oriente-cristiano.html

http://www.istitutocalvino.it/studenti/siti/mathgreca/archim.htm#IL%20METODO%20DI
%20ESAUSTIONE

sabato 2 aprile 2011

MEDIO ORIENTE: L'UTOPIA DELLA PACE. 16/17 Tesina - maturità 2010

IX

SCIENZE DELLA TERRA

LA VITA NELL'UNIVERSO

Secondo lʼipotesi più accreditata lʼUniverso che oggi osserviamo ha avuto origine tra gli 11 e i 15 miliardi di anni fa. Allʼinizio del tempo doveva essere concentrato in un volume più piccolo di un atomo, con una densità pressochè infinita e a una temperatura di miliardi e miliardi di gradi. In un determinato istante, non ne sappiamo il motivo, questo "uovo cosmico" si è squarciato con unʼesplosione immane (big bang). In realtà non cʼera un "fuori", uno spazio esterno in cui potesse dilatarsi unʼesplosione, ma lo spazio si generò insieme allʼespansione stessa. Tale espansione sarebbe stata violentissima, e nel giro di 10 alla -32 secondi, avrebbe fatto aumentare il volume dellʼUniverso di miliardi e miliardi di volte, mentre la temperatura sarebbe scesa rapidamente fin quasi allo zero assoluto.

Al termine della fase di inflazione, liberatasi una gran quantità di calore, la "sfera di fuoco" avrebbe preso a espandersi con un ritmo più lento. Nei primi istanti lʼenergia si condensò in particelle elementari (quark, elettroni), poi in protoni e neutroni, che in seguito si legarono in nuclei atomici, ma sempre in una nebbia luminosa di radiazioni e gas. Solo dopo 300 000 anni si formarono atomi di idrogeno e si esaurì la sfera di fuoco.

Con la formazione di idrogeno neutro la materia si separò dalla radiazione e la luce potè viaggiare liberamente nello spazio. Dopo il primo miliardo di anni, lʼUniverso assume condizioni fisiche più familiari: la temperatura è ormai quella di una qualsiasi stella, e la materia è fatta di idrogeno, elio, elettroni, protoni e fotoni. Dove il gas è più denso, entro grandi masse di idrogeno, cominciano i lampi delle violente esplosioni dei quasar. Mentre lʼespansione dellʼuniverso continua, i quasar diventano più rari, e si fanno sempre più numerose enormi galassie a spirale, formate da miliardi di stelle in continua evoluzione. Nei nuclei delle stelle e nelle esplosioni delle supernovae si formano via via gli elementi chimici più pesanti che, sotto forma di ceneri, finiscono per mescolarsi alle polveri e ai gas delle nebulose.


Nel frattempo però, in questʼimmenso universo, è nato un immenso miracolo: la vita. Un essere vivente nasce, si nutre, cresce, interagisce con lʼambiente, si riproduce e muore. Almeno questo è quanto accade sulla terra. Ma qualʼè lʼorigine? Non si può avere certezza dellʼesistenza di altra vita in altre parti dellʼuniverso. E dunque lʼunica vita che la biologia può studiare, per ora, è quella presente sulla terra. Secondo la teoria più assodata lʼorigine della vita sulla terra viene ricondotta allʼabiogenesi ( dal greco a-bio-genesis, origini non biologiche). Dunque le prime forme viventi si sarebbero formate, da materiale non vivente, attraverso reazioni che, attualmente, non sono più in atto sul nostro pianeta. E ciò sarebbe accaduto tra i 4,4 miliardi di anni fa, quando lʼacqua allo stato liquido comparve sulla superficie terrestre, e i 2,7 miliardi di anni fa, a cui risalgono le prime attività fotosintetiche. In base alla teoria dellʼevoluzione di Darwin (1858) tutte le forme di vita deriverebbero da un unico progenitore, estremamente semplice dal punto di vista biologico, presumibilmente una cellula molto simile agli attuali procarioti.


La prima tappa fondamentale è stata la produzione di semplici molecole organiche, come amminoacidi e nucleotidi, che costituiscono "i mattoni della vita". Recenti esperimenti hanno dimostrato che quest'evento era realizzabile nelle condizioni chimico-fisiche della Terra primordiale, caratterizzata da un'atmosfera riducente. Inoltre, il ritrovamento di molecole organiche nello spazio, all'interno di nebulose e meteoriti, ha dimostrato che queste reazioni sono avvenute anche in altri luoghi dell'universo, tanto che alcuniscienziati ritengono che le prime biomolecole siano state trasportate sulla Terra per mezzo di meteoriti. La questione più difficile è spiegare come, da questi semplici composti organici, concentrati nei mari in un brodo primordiale, poterono formarsi delle cellule dotate dei requisiti minimi essenziali per poter essere considerate viventi. Ma la ricostruzione della storia della vita presenta ancora molti interrogativi. I progressi in questo campo di ricerca sono ostacolati dalla carenza di reperti fossili e dalla difficoltà di riprodurre questi processi in laboratorio.


Delle possibilità dellʼesistenza di vita extraterrestre si occupa invece lʼesobiologia. Una teoria al suo interno è quella della panspermia, secondo cui i semi della vita ( in senso figurato) sono sparsi per lʼuniverso, e che la vita sulla terra è cominciata con lʼarrivo di detti semi e il loro sviluppo.

Fino a qualche decennio fa, si riteneva che la vita potesse svilupparsi esclusivamente in presenza di una combinazione di fattori molto rigida: l'irraggiamento opportuno da parte di una stella, la presenza di acqua allo stato liquido, la presenza di ossigeno nell'atmosfera e di condizioni di temperatura e di umidità variabili entro livelli prestabiliti. Ma, negli ultimi trentacinque anni, gli scienziati hanno scoperto una quantità di esseri viventi, detti organismi estremofili, adattati a vivere nelle condizioni più proibitive. Ad esempio nessuno avrebbe immaginato di trovare vita attorno ai fumaioli neri presenti nel fondo delle rift valley. I fumaioli sono sorgenti dʼacqua che risale con violenza dal fondo marino a temperature che sfiorano i 400°. Lʼacqua risale dopo esser penetrata nelle fratture lungo le dorsali per parecchi chilometri ed essersi riscaldata a contatto con i basalti, ed è ricca di minerali e gas portati via in soluzione dai basalti. Il getto dʼacqua calda è di colore scuro per la presenza di solfuri disciolti, e a contatto con lʼacqua fredda del mare, dalla soluzione calda precipitano chimicamente i minerali, che, con le loro incrostazioni, formano le tipiche ciminiere alte alcuni metri. Attorno ai fumaioli specie sconosciute di vermi, molluschi bivalvi, granchi e altri organismi hanno trovato il loro habitat. Alla base della loro catena alimentare vi sono dei solfobatteri, che ricavano lʼenergia necessaria alla produzione di sostanze organiche dallʼossidazione dei solfuri. Alla profondità di 3000 metri, dove la luce non penetra, si sono così sviluppati ecosistemi complessi che non si basano sulla fotosintesi, ma su una forma di chemiosintesi. Questa scoperta è alla base dellʼipotesi che su Europa, uno dei satelliti di Giove, si possa essere sviluppato qualcosa di simile sul fondo dellʼoceano di acqua che avvolge lʼintero satellite.

Aver trovato la vita sulla Terra in ambienti inaspettati ha aumentato i limiti dei parametri ambientali entro i quali è possibile la sopravvivenza degli organismi viventi, e di conseguenza ha aperto nuove frontiere di esplorazione spaziale alla ricerca della vita extraterrestre, all'interno dello stesso sistema solare.


Insomma, ad oggi è difficile credere che il pianeta Terra rappresenti lʼunica culla di vita dellʼUniverso, tuttavia non sono state ancora trovate prove certe al riguardo. Dal 1960 con il progetto di radio-ascolto SETI ( Search for extra-terrestrial intelligence ) si ricerca vita intelligente extra-terrestre, abbastanza evoluta da poter inviare segnali radio nel cosmo. Il programma si occupa anche di inviare segnali della nostra presenza ad eventuali altre civiltà in grado di captarli.

E se non fossimo soli, sarebbe lʼennesimo scontro di civiltà?

Fabrizio G. Vaccaro

venerdì 25 febbraio 2011

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 15/17

VIII
MATEMATICA
DA EUDOSSO DI CNIDO AI LIMITI DELLE FUNZIONI
A partire dal IV secolo a.C., i matematici greci si erano accorti della necessità di fare ricorso al concetto di infinitesimo per la soluzione dei problemi di misura.
Per dimostrare che lʼarea o il volume A di una certa figura è uguale a unʼarea o a un volume noto B, i matematici greci dimostravano che non poteva essere né A > B, né A < B, facendo vedere che qualunque fosse la differenza A – B, questa doveva essere minore di qualsiasi numero arbitrariamente piccolo, era cioè A = B.
In questa forma “negativa” di dimostrazione, nota come metodo di esaustione, sono evidenti le origini del calcolo infinitesimale. Lʼinventore del metodo di esaustione è certamente Eudosso di Cnido ma colui che seppe mostrare tutta la potenza di tale metodo nelle applicazioni possibili fu Archimede.
Con lui il metodo di esaustione diviene un procedimento utile a calcolare aree di varie figure geometriche piane. Consiste nella costruzione di una successione di poligoni che convergono alla figura data. L'area della figura risulta essere quindi il limite delle aree dei poligoni.
Ad esempio l'area del cerchio può determinarsi costruendo una successione di poligoni che assomigliano sempre di più al cerchio. Ad esempio, una successione di poligoni regolari con numero crescente di lati. A seconda che si scelgano poligoni iscritti o circoscritti nella circonferenza, l'area di questa risulterà essere approssimata inferiormente o superiormente. Entrambe le scelte portano comunque al limite all'area del cerchio.

Consideriamo unʼimpresa che produca un bene di largo consumo e che abbia investito una somma crescente nel tempo in pubblicità del proprio prodotto.
I dati passati mostrano che lʼoperazione pubblicitaria ha contribuito a un incremento dei profitti. Per decidere la futura politica di investimento in pubblicità, lʼimpresa vuole determinare se tale effetto sia destinato a mantenersi indefinitamente (nel senso che, ad ogni incremento delle specie pubblicitarie, siano sempre associati incrementi dei profitti). Per rispondere a questa domanda, occorre individuare la relazione che intercorre tra le due variabili y e x, che indicano, rispettivamente, il profitto dellʼimpresa e il costo dellʼintervento pubblicitario (entrambi in migliaia di euro), e determinare se il profitto aumenti sempre più allʼaumentare dei costi pubblicitari o se invece esista un livello oltre il quale il profitto non possa essere aumentato.
La relazione cercata è individuata da una funzione:
y=f(x),
la cui forma può essere ricavata dai dati relativi ai costi pubblicitari e ai profitti degli anni precedenti. Eʼ possibile che, costruendo una tabella con alcuni valori di x ed i corrispondenti valori di y, a un certo punto y, pur continuando ad aumentare allʼaumentare di x, non oltrepassi più un certo valore. Si avvicina sempre di più ad esso senza mai oltrepassarlo. Per precisare, attraverso criteri oggettivi e definizioni appropriate, il significato di questo concetto intuitivo, in matematica si fa ricorso a un nuovo concetto: quello di limite.
Il limite può essere: un limite finito di una funzione in un punto, infinito di una funzione in un punto, o ancora un limite finito o infinito di una funzione allʼinfinito.
I principali teoremi fondamentali sui limiti sono:
Teorema dellʼunicità del limite. Se una funzione ammette un limite, in un punto o allʼinfinito, tale limite è unico;
Teorema della permanenza del segno. Quando il limite di una funzione in un punto c è un numero l diverso da zero, esiste un intorno di c in cui (escluso al più c) la funzione
assume valori tutti dello stesso segno del limite;
Teorema del confronto. Se f(x), h(x), g(x) sono tre funzioni definite in uno stesso intorno H del punto c (escluso al più c), e risulta che: 1) h(x) sia maggiore o uguale a f(x), e minore o uguale g(x) per ogni x diversa da c e appartenente allʼintorno H; 2) il limite di f(x) per x che tende a c è uguale al limite di g(x) per x tendente a c e ha un valore l,
allora anche il limite di h(x) per x che tende a c è uguale ad l.
Fabrizio Giovanni Vaccaro

giovedì 24 febbraio 2011

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 14/17

VII
FISICA
DA MAGNESIA AL MAGNETISMO

Già dal tempo della morte di Gesù nella Ionia, in Asia Minore, si era insediata una comunità cristiana che ebbe come prima guida lʼapostolo Giovanni. Nella Ionia, a Magnesia, Talete di Mileto scoprì, tra il VII e il VI sec. a.C., le proprietà di un particolare minerale: la magnetite. Pezzi di questo minerale, che prendono il nome di magneti, erano capaci di attirare il ferro. Avvicinando un pezzo di magnetite a una barra di acciaio si ottiene un magnete artificiale, o calamita.
Le calamite possiedono un polo Sud e un polo Nord. Un ago magnetico libero di ruotare intorno al suo centro, per lʼesistenza del campo geomagnetico, orienterà sempre una delle due estremità, sempre la stessa, verso il Nord terrestre, e lʼaltra verso il Sud. La prima delle due estremità prende il nome di polo Nord (polo N), la seconda di polo Sud (polo S). Come le cariche elettriche, i poli magnetici interagiscono tra loro con forze attrattive o repulsive: poli magnetici di nome diverso si attraggono, poli dello stesso segno si respingono. Ogni magnete genera nello spazio un campo magnetico, la cui presenza si può verificare mediante lʼutilizzo di un piccolo ago magnetico. In una regione dello spazio, infatti, è presente un campo magnetico quando un ago magnetico, posto in quella regione, è soggetto ad unʼazione meccanica. In quanto caratterizzato da una direzione e da un verso oltre che da unʼintensità, il campo magnetico è un campo vettoriale. La direzione è quella in cui si dispone lʼago magnetico; il verso, per convenzione, quello che va dal polo S al polo N dellʼago. Dunque ogni punto del campo magnetico è descritto da un vettore chiamato induzione magnetica, o campo magnetico. Come qualsiasi campo vettoriale, anche il campo magnetico può essere rappresentato mediante linee di campo, tangenti in ogni punto al vettore induzione magnetica e orientate secondo il suo verso. In un magnete a forma di barra, le linee sono più ravvicinate in prossimità dei poli del magnete, dove il campo è più intenso. Escono dal magnete per il polo N e vi rientrano per il Polo S. Se si sparge della limatura di ferro su un cartoncino appoggiato su un magnete, ogni piccolo frammento si magnetizza e si orienta nella direzione del campo magnetico. Un campo magnetico si dice uniforme quando le linee di campo, dirette dal polo N al polo S, sono equidistanti e parallele fra loro.
Nel 1820 il danese Hans Oersted scoprì persino lʼesistenza di interazione tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici. Un filo rettilineo attraversato da corrente elettrica fa infatti ruotare un ago magnetico. Lʼago si dispone sul piano perpendicolare al filo, lungo la tangente alla circonferenza con centro sul filo. Ciò vuol dire che la corrente che scorre in un filo è una sorgente di campo magnetico e che, nel caso specifico di un filo rettilineo, le linee di campo sono circonferenze concentriche intorno al filo. Un solenoide attraversato da corrente elettrica al suo interno, lontano dalle estremità, genera un campo magnetico uniforme, con linee di campo equidistanti e parallele.
Stimolato dalle scoperte di Oersted, il francese Andrè-Marie Ampere dimostrò con una serie di esperimenti che due fili paralleli percorsi da corrente esercitano una forza di tipo magnetico lʼuno sullʼaltro: si attraggono o si respingono a seconda che le correnti scorrano nello stesso verso o in versi opposti. Tale forza è direttamente proporzionale allʼintensità delle correnti nei fili e alla loro lunghezza, e inversamente proporzionale alla loro distanza. Il tutto per una costante di proporzionalità pari a 2 x 10 alla meno 7 N/A alla seconda.
Una spira percorsa da corrente genera delle linee di campo come quelle di una barra magnetica. La spira, pertanto, si comporta come un magnete coi poli orientati perpendicolarmente al piano in cui scorre la corrente. Se si avvolgono le dita nel verso della corrente ad eccezione del pollice, lasciato in su, il pollice indicherà il verso del campo magnetico.

Si è detto prima della direzione e del verso del campo magnetico. Per quanto riguarda il suo modulo (B), questo è pari al rapporto tra la forza magnetica esercitata su un filo conduttore perpendicolare alle linee di campo e il prodotto tra lʼintensità di corrente che scorre nel filo e la sua lunghezza. La forza magnetica esercitata su un filo conduttore perpendicolare alle linee di campo è pari al prodotto tra lʼintensità della corrente, la lunghezza del filo e una costante B dipendente dalla sorgente del campo magnetico e dallʼinclinazione del filo rispetto al campo. Se il filo è perpendicolare alle linee di campo il valore di B è massimo. Nel Sistema Internazionale lʼunità di misura dellʼinduzione magnetica è il Tesla (T). 1 T= 1N/(A x m).
Fu il fisico olandese Hendrik Lorentz (1853-1928) a capire che la forza magnetica agisse solamente sulle cariche elettriche in movimento. Se una carica puntiforme q, in un punto dello spazio in cui lʼinduzione magnetica è B(vettore), ha una velocità v perpendicolare a B, la forza che agisce su di essa, chiamata forza di Lorentz, ha modulo: F=q v B. La forza di Lorentz è perpendicolare alla velocità v della particella carica e al campo magnetico B. Se la carica è positiva, il verso della forza è quello uscente dalla palma della mano destra quando il pollice è orientato come la velocità e le altre dita sono orientate come il campo magnetico. Se la carica è negativa, il verso della forza è lʼopposto.

Nel 1831 lʼinglese Michael Faraday scoprì che non solo correnti elettriche potevano generare campi magnetici, ma che si potevano ottenere anche, in particolari condizioni, correnti elettriche da campi magnetici. Si tratta delle correnti indotte, generantesi al variare del flusso magnetico concatenato con un circuito. Il flusso magnetico attraverso una superficie è il prodotto tra la componente perpendicolare alla superficie del campo magnetico e lʼArea della superficie, e si misura in Weber (Wb).
Fabrizio Giovanni Vaccaro

domenica 30 gennaio 2011

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 13/17

Significativo, nella crescita teologica del cristianesimo, lʼapporto fornito da Agostino. Questi, vissuto tra IV e V secolo d.C., col suo Dochtrina Cristiana ci ha lasciato il più importante trattato di ermeneutica scritturale in lingua latina. Noi conosciamo il contenuto (res) delle Sacre Scritture attraverso le parole con cui la scrittura si esprime (signa). Il "segno" è una cosa che, oltre se stessa, significa anche unʼaltra cosa. Secondo Agostino il rapporto tra res e signum è assolutamente convenzionale, per cui il linguaggio deve essere considerato non un prodotto di natura, bensì un prodotto di convenzione. Dopo aver parlato dellʼinvenire ( cioè del ricercare il significato di un testo sacro) nei primi III libri, nel IV libro passa al proferre ( cioè allʼesprimere la verità di un testo sacro avvincendo lʼuditorio), e segnala come la retorica , strumento di per sè neutro, debba essere sottratta al monopolio dei pagani e impiegata al servizio delle verità cristiane.

Il Cristianesimo ha conosciuto larga diffusione non solo in Europa ma anche in Oriente, dove è nato, grazie anche alla longevità dellʼimpero Romano dʼOriente prima, dellʼImpero Bizantino poi. Tuttavia, a seguito del grande scisma del 1054, la chiesa dʼOriente si separò nettamente da quella romana. La chiesa dʼOriente prende oggi il nome di ortodossa, quella romana di cattolica. Oggi in Medio Oriente sono diverse le comunità cristiane ortodosse ( di rito copto, siriano, bizantino), ma anche quelle dipendenti dalla chiesa cattolica, come la chiesa maronita diffusa in Libano, Siria e Israele. In Iraq, dopo una millenaria pacifica convivenza tra musulmani e cristiani, è stato col regime di Saddam Hussein che questi ultimi hanno cominciato a trovare difficoltà. Così nel 1991 1/6 dei cristiani iraqeni (che in totale rappresentavano il 3 % della popolazione) sono fuggiti, e altri sono emigrati in occasione dellʼinvasione anglo-americana del 2003 in attesa di un ritorno della pace. Di certo lo scontro di civiltà invocato da molte elites politico-intellettuali occidentali e orientali rende comunque sempre più difficile la convivenza tra cristiani, pur sempre una minoranza, e musulmani.
Fabrizio G. Vaccaro

lunedì 24 gennaio 2011

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 12/17

Tertulliano (155 ca.-225 ca.) è considerato il primo apologeta latino. Egli è un esempio delle tensioni che si crearono tra cristiani e mondo pagano, tra cristiani ed eresie cristiane. La società dei pagani è concepita da Tertulliano come un mondo corrotto e pieno delle più varie insidie, rispetto al quale la famiglia cristiana rappresenta un corpus esclusivo, che non può e non vuole mescolarsi con le pratiche culturali pagane. Nel suo Apologeticum, per molti il suo capolavoro, egli si scaglia contro un destinatario ben preciso: i Romani imperii antistites, le autorità. Lo fa nella specifica forma di una veemente orazione che si immagina tenuta al loro cospetto. Tertulliano intende spuntare le armi dellʼavversario non riducendo la distanza fra pagani e cristiani, ma anzi sottolineandola, rovesciando sui pagani le accuse di uno stile di vita immorale e di una religiosità assurda e crudele, per esaltare invece la bontà della condotta e della spiritualità cristiane. Lʼapologia tra le sue mani si trasforma in sfida, condotta in toni accesi e aggressivi, grazie a una vivace facondia e a una solida competenza giuridica. Anche sul fronte della lotta interna contro le deviazioni dellʼeresia, Tertulliano prende le mosse dallʼillustre genere letterario dellʼoratoria forense: è il caso del De praescriptione haereticorum ( Obiezione preliminare contro gli eretici). A suo parere, ogni contesa con gli eretici si chiude prima ancora di aprirsi, perchè chi vive fuori da una comunità religiosa, e anzi contro di essa, non è legittimato a farne valere i testi sacri a fondamento delle proprie deviazioni. Ciò era comunque solo un punto di partenza, che precedeva un attacco “filosofico” al nucleo centrale delle teorie avversate, seguito da una discussione dei passi delle Scritture afferenti alla materia. Fu, dunque, essenzialmente la vocazione polemica a trascinare Tertulliano verso positive esposizioni dottrinali, come ad esempio quelle trinitarie e cristologiche e le opere sulla carne di Cristo e la sua resurrezione. Nellʼambito della letteratura cristiana occidentale Tertulliano svolge opera di pioniere e si può dire che fondi la tradizione patristica in lingua latina. Ebbe il merito di gettare le basi del pensiero successivo, trattando grandi temi come quello trinitario, cristologico e del male; portò a dignità letteraria il particolare universo espressivo dei cristiani, così come lo trovava nel vivo parlato delle comunità, e cioè infarcito di grecismi, termini tecnici, riadattamentisemantici di vecchie parole, novità morfologiche e sintattiche correnti nel latino volgare.
Uno studioso ha contato nelle sue opere ben 982 nuove formazioni di verbi, sostantivi, aggettivi, avverbi. E fra queste vi sono coniazioni destinate a upersona per le "personae" trinitarie e lo stesso trinitas.
Fabrizio G. Vaccaro

sabato 22 gennaio 2011

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 11/17

Secondo questa teoria [ dello scontro di civiltà, di Samuel Huntighton, ndr ] mondo occidentale e mondo mediorientale rappresenterebbero due civiltà inconciliabili. Il primo infatti sarebbe caratterizzato da un sistema politico liberal- democratico e da una economia di mercato non proponibili in Medio Oriente, dove politica ed economia sarebbero subordinate alle radici islamiche dei popoli. Anche molti capi religiosi islamici, dal canto loro, hanno parlato di nuova crociata cristiana per riferirsi alla penetrazione occidentale nei loro territori; e in molti hanno invocato la jihad, la guerra santa, per cacciare lʼinfedele dallʼIslam. Sarebbe questo il motivo degli attentati terroristici dellʼ11 settembre, e di tutti gli attentati susseguitisi negli ultimi anni. Non cʼè da stupirsi, dunque, se essi aumentano quanto più si protrae lʼoccupazione occidentale, compresa quella di Israele, delle regioni mediorientali. In questo senso lo scontro di civiltà sembra davvero inevitabile. Ma secondo alcuni, come il noto giurista libanese Georges Corm, è un errore limitare la lettura del Medio Oriente alla sola chiave religiosa. Ciò porta a dimenticare che buona parte degli atti terroristici non avviene per motivi religiosi, bensì per motivi politici: la politica coloniale degli USA, la presenza di Israele in Palestina etc.. Risulterebbe dunque inopportuno istituire un conflitto inconciliabile tra religioni cristiana e islamica. Eʼ si vero che entrambe le religioni professano la fede nellʼunico vero Dio, ma è pur vero che le differenze tra loro sono minori di quanto talora per convenienza si preferisce pensare. Come già detto in principio, Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo sono nati tutti e tre nel Medio Oriente. "Gesù Cristo è ebreo. Come i suoi discepoli e la comunità in cui predicano. Nessuno di loro aveva la minima intenzione di rinnegare la religione ebraica. Ma la persecuzione subita per opera degli altri ebrei, che non erano in sintonia con il messianesimo di Gesù, porta i primi cristiani a fuggire e a giustificare teologicamente questo distacco" (Vincenzo Paglia). A differenza dellʼEbraismo, legato allʼappartenenza al popolo dʼIsraele, il Cristianesimo decise di aprirsi in uno slancio missionario agli altri popoli. Nel VII secolo d.C. lʼIslamismo, predicato da Maometto, sarà considerato un eresia cristiana, salvo poi assumere una dignità tutta propria a seguito delle grandi conquiste arabe successive alla morte di Maometto. La susseguente evoluzione dellʼIslam, in assenza di unʼautorità centrale in grado di scomunicare, rese impossibile la nascita delle eresie. Ciò vuol dire che le diverse interpretazioni messe a punto hanno tutto il diritto di proclamarsi come “autentiche”. Da ciò le difficoltà sorte oggi nel rapportarsi a questa religione, che ha il Corano come libro sacro ma riconosce la santità della Bibbia e della Madonna, e la figura di Cristo.

La Bibbia è il testo base delle comunità cristiane. Scritto originariamente in ebraico e in greco, il testo fu, tra il III e il I sec. a.C., tradotto in greco (la Bibbia dei Settanta). Tuttavia nelle prime comunità cristiane del mondo romano si fece presto sentire lʼesigenza di tradurre in latino i Sacri Testi. A incaricarsene furono, di volta in volta, elementi delle singole comunità: persone probabilmente di media cultura che, se non si fossero trovate costrette da ragioni estreme, non avrebbero forse affrontato mai alcuna impresa letteraria. Questi primi traduttori attinsero al livello basso della lingua sia in considerazione del proprio pubblico, fatto di gente semplice, sia per fedeltà al linguaggio dimesso degli originali e per disprezzo di ogni vano abbellimento artistico. Cominciarono, dunque, a circolare traduzioni sparse di differenti libri ad opera di diversi traduttori. I primi tentativi di ottenere versioni latine integrali, radunando i libri sparsi, risalgono forse a metà del II secolo. Tutte queste antiche versioni latine sono considerate come un blocco sostanzialmente unico, cui si da il nome di Vetus latina ( versio), cioè "(bibbia) latina antica". Alla fine del IV secolo, la quantità di versioni e di varianti del testo era sconcertante: fu così che, per iniziativa di papa Damaso e di Girolamo, si cercò di preparare una versione univoca ( la cosiddetta Vulgata) che, a partire dalla rinascenza carolingia (IX secolo), si impose definitivamente come libro base della cristianità latina.
Lungo il I secolo d.C. e ancora agli inizi del II, il cristianesimo fu a malapena notato dal mondo pagano. Esso avrebbe teoricamente potuto incontrare quellʼatteggiamento di tolleranza con cui varie altre filosofie religiose venivano a coesistere con le strutture portanti del mondo pagano, in quel clima sostanzialmente disteso di libertà e anche promiscuità di culto che spesso si indica come "sincretismo religioso". Tuttʼal più, avrebbe potuto guadagnargli antipatie la parentela con il modo giudaico, mai troppo ben visto in Roma. Tuttavia la scelta di vita cristiana si presentava come troppo totalizzante ed esclusiva per ammettere compromessi con i culti ed i modi di vita del mondo che veniva conquistando. Il cosiddetto paradosso cristiano era vivere in un contesto sociale fatto di vivi rapporti e fenomeni concreti sulla terra e rifiutarlo categoricamente, sentendosi cittadini di una contrapposta città celeste. E presto, in quella società terrena respinta con sprezzo e disinteresse, si cominciarono a formare dicerie calunniose che attribuivano ai cristiani culti segreti di particolare ferocia e pericolosità sociale. Eʼ questo il nocciolo delle forti antipatie cui il cristianesimo andò incontro presso i non convertiti e, di riflesso, presso le autorità costituite: con i conseguenti fenomeni delle “persecuzioni” da parte pagana, delle “apologie” da parte cristiana.
La tradizione cristiana, infatti, con centro nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesraea (265-340), fonda lʼidea di una ostilità serrata e continuativa dei pagani verso i cristiani, con persecuzioni sistematiche da Nerone fino alla pace della Chiesa intervenuta con lʼeditto di Costantino del 313. Manca invece del tutto una parallela storia delle persecuzioni che a loro volta i cristiani, ormai vincitori, inaugurano contro i culti pagani. In realtà il concetto di persecuzione va sfumato. Le “persecuzioni” iniziarono piuttosto tardi e per lo più furono legate a iniziative di magistrati locali. Fino a metà del III secolo non ci fu in merito una vera e propria legislazione cui rifarsi. La “persecuzione” avveniva in seguito a denuncia presso un magistrato che, altrimenti, non avrebbe preso lʼiniziativa di ricercare un cristiano perchè reo in quanto tale. Fu solo sotto Decio (249-259) che venne formalizzato, in autentica legislazione e con intento persecutorio, il conflitto tra pagani e cristiani. Si sviluppoʼ così lʼattività dei “difensori”, i cosiddetti “apologeti”, che intendevano fare fronte al complesso di pregiudizi con cui il mondo pagano guardava alla nuova religione.
Fabrizio G. Vaccaro

martedì 4 gennaio 2011

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 10/17

VI
LATINO
IL CRISTIANESIMO

Oggi siamo lontanissimi dal creare una società cosmopolita come quella che Alessandro Magno aveva tentato di costruire. Tuttora, infatti, gran parte dellʼintellighenzia di tutto il mondo continua a considerare le differenze muri invalicabili. La cosa, a dir loro, non può che portare ad uno scontro di civiltà. Eʻ il caso del saggio pubblicato nel 1996 dallo scienziato politico statunitense Samuel Huntigton e intitolato proprio Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Alcuni teorici e scrittori prima di lui avevano sostenuto che la democrazia liberale e i valori dell'Occidente fossero diventati la sola alternativa ideologica rimasta per le nazioni del mondo uscito dalla Guerra fredda. Secondo alcuni si era raggiunta la fine della storia nel senso hegeliano. Huntington si oppose a queste tesi sostenendo nel libro che i conflitti successivi alla Guerra Fredda si sarebbero verificati con maggiore frequenza e violenza lungo le linee di divisione culturale e non più per ragioni ideologiche, come accadeva nel ventesimo secolo durante la Guerra Fredda. Huntington crede che la suddivisione del globo in civiltà descriva il mondo meglio della suddivisione classica in Stati sovrani. Lo storico infatti suggerisce che per capire i conflitti presenti e futuri siano innanzitutto da comprendere le divergenze culturali, e che la cultura (piuttosto che lo Stato) debba essere accettata come luogo di scontro. Per questo motivo sottolinea che le nazioni occidentali potrebbero perdere il loro predominio sul mondo, se
non saranno in grado di riconoscere la natura inconciliabile di questa tensione.
Fabrizio G. Vaccaro

martedì 28 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE: L'UTOPIA DELLA PACE. 9/17 Tesina - maturità 2010

V
EDUCAZIONE FISICA
DE COUBERTIN E LE OLIMPIADI
Ma se una coesistenza pacifica di culture diverse, come ai tempi di Alessandro il Grande, è continuamente messa in discussione dai fatti, se pare che il messaggio di solidarietà espresso da Leopardi ne La ginestra sia lontano dallʼessere colto, ci sono comunque alcuni eventi che infondono fiducia. Uno su tutti è lo svolgimento della XIX edizione dei mondiali di calcio in Sud-Africa. In un paese in cui fino a ventʼanni fa vigeva il regime dellʼApartheid, oggi bianchi e neri sono uniti nello sport e nellʼimpegno per la risoluzione degli atavici problemi del paese: povertà e analfabetizzazione. Lʼennesima prova che lo sport rappresenta un importante strumento di educazione e coesione sociale, oltre ad essere diventato oggi unʼimportante vetrina e unʼefficacissima calamita di flussi economici.

Lʼintento di fare dello sport un viatico degli ideali di lealtà, di corretto agonismo, di affratellamento e di tolleranza fra i popoli nellʼetà moderna fu portato avanti da un francese: Pierre de Coubertin ( 1863-1937). De Coubertin, in un momento di esasperato nazionalismo, cercò appoggi in tutto il mondo per il suo progetto di far rinascere lo spirito dei giochi olimpici. NellʼAntica Grecia i giochi olimpici, oltre ad avere una valenza religiosa, esaltavano il senso di lealtà e lo spirito agonistico. Essi si svolgevano ogni quattro anni in estate e duravano 6 giorni, durante i quali si instaurava la "tregua sacra". Nessun nuovo conflitto poteva iniziare e le battaglie in corso venivano sospese in modo che gli atleti potessero gareggiare. La prima Olimpiade si svolse nel 776 a.C., nel 393 d.C. lʼimperatore Teodosio con un editto, sotto la pressione del vescovo di Milano Ambrogio, mise fino ai giochi in quanto rappresentazione di riti pagani. Il Cristianesimo, a quel tempo, proponendosi la salvezza dellʼanima dellʼuomo, espresse un giudizio negativo su tutte le attività del corpo, ponendo scarsa attenzione allʼalto valore morale e formativo che lʼattività sportiva e, in particolare, i Giochi Panellenici avevano per i Greci. 14 secoli dopo De Coubertin, pedagogo sportivo ed educatore di fama, riprese i principi dellʼinglese Thomas Arnold (1795-1842) , secondo cui lo sport esercita notevoli influenze sulla vita e sullʼeducazione dei giovani, favorisce lʼequilibrio tra il corpo e la mente, stimola lʼentusiasmo, appaga lʼimmaginazione e i sensi, produce una sana stanchezza. Egli si convinse che la pratica dello sport potesse essere una via per la formazione dei cittadini, e quindi avesse una funzione non solo educativa ma anche sociale e politica.
Al Congresso internazionale di Parigi da lui convocato presso la Sorbona nel 1894, oltre ad essere fondato il CIO, fu stabilito che il 6 aprile del 1896 si sarebbero inaugurati ad Atene i Giochi della Prima Olimpiade dellʼEra Moderna. Lʼevento fu un successo. La Grecia chiese di divenire sede permanente di tutti i futuri giochi olimpici, ma il CIO decise che le olimpiadi avrebbero dovuto essere organizzate di volta in volta in una nazione diversa. Ma contrariamente alle speranze del barone De Coubertin, le Olimpiadi non impedirono le guerre. I Giochi del 1916 furono cancellati a causa dello scoppio della prima guerra mondiale, e lo stesso avvenne per i giochi del 1940 e 1944, a causa della Seconda Guerra mondiale. Inoltre, i vincitori della prima guerra mondiale impedirono alle nazioni sconfitte di partecipare alle Olimpiadi del 1920. Lo stesso accadde nel 1948; tutte le nazioni che persero la II Guerra Mondiale (tranne l'Italia, a cui venne riconosciuta l'attenuante di aver dichiarato guerra, dopo l'armistizio del 1943, all'invasore tedesco) vennero escluse dai Giochi di Londra. Altro motivo di divisione fu la decisione dellʼURSS di organizzare dal 1928, e fino al 1952, dei giochi alternativi denominati Spartachiadi, cui parteciparono molti atleti comunisti. Ai giochi di Città del Messico del 1968 due atleti afroamericani, della squadra di atletica leggera, durante lʼesecuzione dellʼinno statunitense alla cerimonia di premiazione dei 200 metri eseguirono il saluto delle Pantere Nere, per denunciare il razzismo contro gli afro-americani negli Stati Uniti. Nelle Olimpiadi di Monaco del 1972 un gruppo di terroristi palestinesi prese in ostaggio 11 membri della squadra olimpica israeliana. Il tentativo di liberazione delle forze dellʼordine finì in un bagno di sangue: morirono tutti gli atleti, 5 terroristi ed un poliziotto. Nel 1980 i giochi di Mosca furono boicottati dagli USA insieme ad altri paesi del blocco occidentale a causa dellʼinvasione sovietica dellʼAfghanistan. Per reazione, i sovietici e i loro partner del blocco orientale boicottarono i successivi Giochi di Los Angeles nel 1984. La speranza che le Olimpiadi moderne possano divenire veicolo di pace e fratellanza si scontra tuttora con importanti interessi economici, come è stato dimostrato dai Giochi di Pechino 2008. Nonostante il governo cinese fino a poche settimane prima si fosse reso colpevole di dure repressioni ai danni della popolazione tibetana, in lotta per lʼautonomia, le gare si sono svolte come se nulla fosse accaduto.
Fabrizio G. Vaccaro

domenica 26 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE: L'UTOPIA DELLA PACE. 8/17 Tesina - maturità 2010

IV

FILOSOFIA

IL PARERE DI HEGEL

Le perplessità restano anche se si ammette che lʼesportazione dei prinicipi democratici e liberali siano il reale motivo di questa guerra. Sono in molti infatti a chiedersi se sia possibile imporre con successo la democrazia laddove essa non si è spontaneamente sviluppata.


Tale domanda si pose nel XIX secolo Georg Wilhelm Friedrich Hegel ( 1770-1831). La sua risposta fu no. Sia nellʼEnciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817) che nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel sostiene che la costituzione, intesa come organizzazione dello Stato, non è il frutto di unʼelucubrazione a tavolino, ma qualcosa che sgorga necessariamente dalla vita collettiva e storica di un popolo. Così se si vuole imporre a priori una costituzione a un popolo ( come fece Napoleone con gli Spagnoli) inevitabilmente si fallisce, anche se la costituzione proposta è senzʼaltro migliore di quella esistente. Ogni popolo ha la costituzione che gli è adeguata.

Ciononostante Hegel individua unʼorganizzazione dello stato superiore alle altre, in quanto risolve organicamente in se stessa le forme classiche di governo: monarchia, aristocrazia, democrazia. Tale costituzione è rappresentata dalla monarchia costituzionale moderna, un organismo politico che prevede una serie di poteri distinti, ma non divisi, tra loro: sono i poteri legislativo, governativo e principesco ( lʼamministrazione della giustizia nel sistema hegeliano fa parte della società civile).

Il potere legislativo, che rappresenta il potere della pluralità in genere, consiste nel "potere di determinare e stabilire lʼuniversale" e "concerne le leggi come tali". A tale potere concorre "lʼassemblea delle rappresentanze di classi", che trova la propria espressione in una Camera alta e in una Camera bassa.

Pur insistendo sullʼimportanza mediatrice dei ceti Hegel si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che questi, per loro natura, siano inclini a far valere gli interessi privati "a spese dellʼinteresse generale". Inoltre, esplicitando ancora una volta la propria lontananza dal pensiero democratico, Hegel annovera, tra le "storte e false" opinioni correnti, quella per cui "i deputati del popolo o magari il popolo debba intendere nel miglior modo quel che torni al suo meglio", giungendo ad affermare che i membri del governo "possono fare ciò che è il meglio senza i ceti", in quanto essi conoscono i bisogni e gli affari dello Stato, mentre il popolo "non sa ciò che vuole" (Lineamenti, par.301).

Il potere governativo, o esecutivo, che rappresenta il potere di alcuni, comprende in sè i poteri giudiziari e di polizia operanti a livello della società civile. Consiste nello sforzo di tradurre in atto, in riferimento ai casi specifici, lʼuniversalità delle leggi. A questo compito sono adibiti i funzionari dello Stato.

Il potere del principe, il potere di uno solo, rappresenta lʼincarnazione stessa dellʼunità dello Stato, cui spetta la decisione definitiva circa gli affari della collettività. Ma al di là di ogni enfasi la funzione del monarca sembra consistere, in ultima istanza, nel "dire sì e mettere i puntine sulle i" (Lineamenti, par. 280). Pertanto, il vero potere politico, nel modello costituzionale hegeliano, è il potere del governo. Vera classe politica sono i ministri e i pubblici funzionari.

Per quanto riguarda il diritto esterno dello Stato, Hegel dichiara che non esiste un organismo superiore in grado di regolare i rapporti inter-statali e di risolvere i loro conflitti. In altre parole non può esistere alcun giudice o pretore in grado di esaminare le pretese degli stati. Il solo giudice o arbitro è lo spirito universale, cioè la storia, la quale ha la guerra come suo momento strutturale. Il filosofo tedesco sostiene, con un paragone famoso, che come "il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole", così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua ( Lineamenti, par. 234).

Ciò ovviamente si concilia con le tesi di fondo dellʼidealismo del filosofo, secondo cui il finito ( la realtà) è manifestazione e momento necessario dellʼinfinito. Tale infinito è un soggetto spirituale in divenire, di cui tutto ciò che esiste è momento o tappa di realizzazione. La realtà, essendo un momento necessario del processo dialettico di auto- produzione dellʼinfinito, non può in alcun modo essere diversamente da come è. Come appare scritto nei Lineamenti della filosofia del diritto, ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale. Vi è dunque una necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione. E la filosofia viene paragonata alla nottola di Minerva, che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà è già bellʼe fatta. Per ciò la filosofia non può stabilire come deve essere la realtà ( come avevano fatto gli illuministi, Kant e continuavano a fare alcune frange romantiche), ma giustificare come essa è. Tutto è manifestazione dello spirito, lʼinfinito, che attraverso lʼuomo, nelle forme dellʼarte, della religione e della filosofia, giunge a prendere coscienza di sè. Il particolare, attraverso il processo dialettico di tesi, antitesi e sintesi, si risolve sempre nel generale. Da ciò la critica ai modelli statali liberale, democratico, contrattualistico e giusnaturalistico. Lo stato etico, incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune, non può essere subordinato alla tutela degli interessi particolari degli individui, e dunque alla società civile, come uno stato liberale; la sovranità non risiede nel popolo bensì nello stato stesso, al di fuori del quale il popolo è solo una massa informe; la vita sociale non può derivare da un contratto scaturiente dalla volontà arbitraria degli individui e non possono esistere diritti naturali prima e oltre lo Stato.

Insomma per Hegel sarebbero giustificabili le campagna militari in Medio Oriente per salvaguardare interessi economici, ma sarebbe privo di senso cercare di imporre ai popoli di questa regione costituzioni democratiche sullo stile di quelle occidentali.

Fabrizio G. Vaccaro

mercoledì 22 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 7/17

Lʼoccupazione di Iraq e Afghanistan continua tuttora. Essa ha tuttavia acuìto
nella popolazione araba il sentimento di uno scontro di civiltà in atto tra Occidente e Medio
Oriente, che ha sempre più trovato nellʼIslam un significativo motivo di coesione. Agli occhi del mondo e dellʼopinione pubblica interna, la permanenza in Medio Oriente è stata giustificata dai governi occidentali con la necessità di distruggere il terrorismo islamico, che però invece di indebolirsi sembra rinforzarsi ogni giorno di più. Il modo migliore per debellare tale minaccia è sembrato quello di esportare i principi democratici consacrati in Europa e negli Stati Uniti presso le popolazioni di questa regione. Ma a molti questa giustificazione pare nascondere altre motivazioni. Ad esempio il presidente della Repubblica federale di Germania Horst Kohler, avendo affermato ad una radio tedesca la necessità di certe operazioni militari allʼestero per difendere anche gli interessi economici, è stato costretto alle dimissioni il 31 Maggio di questʼanno per le polemiche che ne sono seguite. Questo perchè in molte costituzioni occidentali, come in Italia nellʼarticolo 11, è proibito lʼuso della guerra se non come tutela della pace e della libertà dei popoli. Insomma: molti sospetti rimangono.
Fabrizio G. Vaccaro

sabato 18 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 6/17

III
STORIA
LE GUERRA IN MEDIO ORIENTE

In realtà la modernità di questo pensiero stride notevolmente con la condotta dellʼuomo di tutte le epoche. La guerra ha sempre segnato la storia. Molte volte la guerra ha fatto la storia. Ma mai si è assistito a un concentrato di violenza come quello del XX secolo, il successivo al secolo di Leopardi. Invece di mettere il progresso tecnologico raggiunto al servizio dellʼuomo e della ricerca contro le malattie, è stata investita la maggior parte delle risorse nella lotta contro gli altri uomini. Grandi cervelli ( basti pensare al Progetto Manhattan) sono stati sfruttati per costruire armi distruttive, e ciò continua tuttora. Alla sofferenza si aggiunge altra sofferenza.
Nonostante i terribili accadimenti del XX secolo, le guerre continuano anche nel terzo millennio dellʼera cristiana. Proprio il Medio Oriente vive oggi un clima di guerra permanente, che trova unʼesemplificazione nellʼatavica situazione arabo-israeliana.
A seguito della prima guerra mondiale e della dissoluzione dellʼimpero ottomano, la Società delle Nazioni aveva affidato il Medio Oriente a Francia e Gran Bretagna attraverso dei mandati. Gli stati che vennero formati non smisero mai di essere economicamente sfruttati e politicamente influenzati dalle potenze occidentali, anche se nel corso degli anni venti alcuni di loro ottennero lʼindipendenza politica. Eʼ nel 1945 che ufficialmente tali paesi cercano di aumentare il proprio peso politico rispetto alle grandi potenze dellʼOccidente industrializzato, con lʼistituzione dellʼorganizzazione politica internazionale della Lega Araba. Essa fu fondata da Egitto, Iraq, Transgiordania, Libano, Arabia Saudita e Siria, e comprende oggi anche i paesi arabi dellʼAfrica mediterranea e tutta la penisola arabica.
Tuttavia il mondo arabo era solo apparentemente omogeneo per tradizione storica e orientamento religioso, e profondamente diviso al suo interno, soprattutto per la frattura tra musulmani sciiti e sunniti. Su queste divisioni, memori del motto Divide et Impera, fecero leva Stati Uniti e URSS, poco inclini a rinunciare al controllo su unʼarea dello scacchiere internazionale decisiva per la produzione di petrolio e gas naturale, fonti di energia indispensabili per lo sviluppo economico. Si riprodusse così nello scenario mediorientale la contrapposizione bipolare: Siria, Egitto e Iraq, con regimi di tipo socialista, si avvicinarono allʼorbita dellʼURSS, mentre le monarchie tradizionaliste come la Giordania e lʼArabia Saudita entrarono nellʼorbita statunitense.
In questo contesto lo stato di Israele, creato nel 1948, divenne un importante alleato filo-occidentale, una porta sempre aperta per il Medio Oriente. E da parte sua potè sempre avvalersi dellʼaiuto di Washington nella continua lotta per la sopravvivenza. Il diritto a un focolare ebraico in Palestina, secondo quanto auspicato dal movimento sionista, era stato riconosciuto dalla Gran Bretagna con la dichiarazione di Balfour già nel 1917; ma fu con lʼasprezza dellʼantisemitismo nazista che il numero di ebrei in Palestina aumentò a dismisura. Ciò suscitò un profondo risentimento tra gli arabi, che vedevano nella presenza sionista una minaccia alla loro stessa sopravvivenza. Nel 1947 lʼONU deliberò la creazione di due stati autonomi, uno ebraico e uno palestinese, ma la possibilità di una conciliazione era già allora compromessa dagli squilibri e dalle tensioni presenti nellʼarea. La popolazione locale considerava sempre più i nuovi arrivati alla stregua di invasori, reagendo con attentati e azioni di guerriglia. Gli ebrei, dʼaltro canto, senza tenere conto della situazione di fatto, rivendicavano diritti originari che il tempo aveva ormai cancellato, mentre frange più estremiste assumevano atteggiamenti tanto prevaricanti da innescare un conflitto che la Gran Bretagna non era più in grado di controllare.
Così nel 1948 Londra annunciò lʼintenzione di volersi ritirare dalla Palestina entro il 15 Maggio. Il 14 maggio 1948 lʼallora capo del governo provvisorio ebraico in Palestina, David Ben Gurion, proclamò unilateralmente la nascita dello Stato di Israele, che non fu mai unanimemente riconosciuta. La guerra che immediatamente ne seguì, la prima di una lunga serie, vide la sconfitta della Lega Araba e lʼestensione dello stato di Israele oltre i confini fissati dallʼONU nel 1947. I palestinesi lasciarono in 900.000 il paese, riparando nei paesi vicini, in Libano e soprattutto in Giordania; quelli rimasti furono relegati nelle strisce di Gaza e della Cisgiordania.
Oggi lo stato di Israele è diventato, grazie anche agli ininterrotti flussi finanziari provenienti dalle comunità ebraiche di tutto il mondo, una potenza tecnologicamente ed economicamente avanzata, allʼinterno di unʼarea segnata dalle eredità coloniali e del sottosviluppo.
Ma lʼOccidente non si è fermato a questo. Le due crisi petrolifere del 1973 e del 1979 furono la prova della precarietà del controllo occidentale sui paesi arabi, e del rischio che ciò rappresentava per le loro economie. Così si spiegano una serie di azioni politico-militari volte in primo luogo a piegare i regimi avversi allʼOccidente, in secondo luogo a favorire lʼinstaurazione di governi filo-occidentali contemplando anche lʼintervento diretto ove necessario. Nel 1980 gli Stati Uniti sostennero lʼIraq, guidato da Saddam Hussein, nella sanguinosissima guerra Iran-Iraq protrattasi ufficialmente fino al 1988, de facto fino al 1990. Gli USA infatti, ma anche lʼURSS che nel frattempo invadeva lʼAfghanistan, mal sopportavano il consolidamento di uno stato islamico in Medio Oriente, qualʼera lʼIran della rivoluzione del 1979, spregiudicatamente anti-occidentale.
La guerra Iran-Iraq si concluse con un nulla di fatto, ed entrambi i paesi ne uscirono duramente provati. Così, quando lʼIraq invase nel 1990 il piccolo stato del Kuwait, gli Stati Uniti, forti del declino del loro rivale sovietico, nel Gennaio del 1991, alla guida di una coalizione multinazionale che comprendeva lʼArabia Saudita ma non lo stato di Israele, sotto lʼegida dellʼONU, ordinò lʼinizio dei bombardamenti sullʼIraq. Lʼindipendenza del Kuwait fu salvaguardata, lʼIraq messo in ginocchio, ma Saddam Hussein rimase al potere in assenza di valide alternative.
Lʼopera di penetrazione in Medio Oriente fu completata dagli USA nel 2003. Nel 2001, a seguito degli attentati terroristici dellʼ11 settembre dello stesso anno, una coalizione Occidentale aveva già invaso lʼAfghanistan, con lʼavallo dellʼONU, per liberarlo dal regime talebano. LʼAfghanistan fu infatti considerato il covo del terrorismo internazionale e del suo leader, Osama Bin Laden, capo di Al Qaeda, mai catturato.
Nella primavera del 2003 le forze di una coalizione anglo-americana furono inviate in Iraq dal presidente George W. Bush e dal primo ministro britannico Tony Blair, senza lʼavallo dellʼONU, per provocare il crollo del regime di Saddam Hussein. Il pretesto fu quello del possesso da parte dellʼIraq di armi chimiche, secondo un dossier consegnato alla CIA dal SISMI, che però mai sono state trovate. Le operazioni militari non presentarono problemi e Saddam Hussein fu deposto e giustiziato nel 2006.

domenica 12 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 5/17

Lʼultimo dei canti (di Giacomo Leopardi, NDR) ribadisce i punti chiave della leopardiana visione del mondo: lʼidea di una natura matrigna, indifferente alle sorti dellʼuomo; lʼassurdità di ogni antropocentrismo, data la nullità dellʼuomo e della sua storia rispetto allo spazio e al tempo infiniti della vita dellʼuniverso; la necessità per lʼuomo moderno di aderire a un pensiero razionalista e materialista, che ha scoperto verità scientifiche che non possiamo fingere di ignorare; la falsità pericolosa, frutto di ipocrisia o di stupidità, di un ritorno a ideologie irrazionalistiche. Queste idee chiave vengono proposte con un atteggiamento non rassegnato, ma combattivo ed eroico, come è tipico dellʼultima fase della poesia leopardiana. Ci sono però, a questo proposito, alcune novità.
Lʼatteggiamento “eroico” del poeta non si esplica più soltanto in un atto di “resistenza” alla forza malvagia della natura, ma si esprime in una polemica aperta e diretta contro il proprio tempo e le sue tendenze culturali. Alla propria età Leopardi sa di non piacere, eppure non rinuncia al suo dovere di intellettuale, che è quello di usare la parola per render testimonianza al vero. Il suo pensiero, inoltre, ed è questa la maggiore novità, non svolge più soltanto una funzione demistificatoria, distruttiva di tutti i falsi miti della modernità, ma presenta anche una parte costruttiva: lʼidea che, sulla base del "verace saper" della filosofia materialista, diffuso tra gli uomini, si possa costruire una società più giusta, più solidale, dove i conflitti siano superati in nome di unʼalleanza tra tutti gli uomini, fondata sulla consapevolezza della comune fragilità naturale. Alla falsa idea di un progresso basato sulle conquiste tecnologiche, che avrebbero assicurato il dominio sulla natura e lʼabbondanza dei beni, Leopardi contrappone la prospettiva di un progresso civile e morale, fondato sulla pessimistica consapevolezza dei “limiti” esistenziali dellʼuomo, che mai potrà vincere la morte o dominare lʼuniverso infinito.
Si nota come Leopardi attribuisca un diverso valore alla ragione nella Ginestra rispetto alle opere precedenti. Qui Leopardi esalta la ragione, che ha fatto risorgere lʼuomo dalla barbarie e lo ha fatto crescere in civiltà. In precedenza lʼaveva deprecata in quanto rea di aver spento le illusioni, spingendo la società al tedio e allʼinerzia. Adesso Leopardi affida allʼintellettuale il compito di diffondere il vero, anche per spingere gli uomini a costruire una società più giusta; in passato aveva sostenuto che lʼintellettuale dovesse diffondere il bello, le illusioni, unico conforto per gli uomini condannati allʼinfelicità.
Dunque Leopardi, attraversate le fasi del pessimismo individuale, del pessimismo storico, e del pessimismo cosmico, matura al finir della sua vita lʼauspicio di una società dominata dalla solidarietà. Ciò non vuol dire, come si è già avuto modo di appurare, che Leopardi non creda più nellʼimmanenza strutturale del dolore nellʼesistenza. Anche nella Ginestra si rileva che la concezione di Leopardi della natura non è cambiata. Il paesaggio inizialmente descritto non è casualmente un paesaggio arido, quello delle pendici del vulcano, dove si è consumata la distruzione di due città e dei rispettivi abitanti 1800 anni addietro, ma sta ad indicare le difficoltà che incontra lʼuomo, rappresentato dalla ginestra, nella sua vita. "Non ha natura al seme dellʼuom più stima o cura che alla formica" verrà addirittura affermato in seguito, creando un nesso tra la caduta di un pomo che distrugge un formicaio, e unʼeruzione vulcanica che annienta quanto costruito con tanta fatica dallʼuomo di ogni età. In questo canto Leopardi mostra compassione per il genere umano che "dʼeternità sʼarroga il vanto", disprezzo per la sua epoca storica, che rifiuta dʼaccettare la precarietà dellʼesistenza. Insomma: lʼultimo Leopardi non rinnega il pessimismo che ne ha contrassegnato la produzione poetica. Tuttavia individua nella natura lʼunico nemico contro cui lʼuomo deve lottare. Che senso ha, infatti, combattere guerre, odiare il prossimo, arricchirsi a spese dei più deboli quando tutti, ricchi e poveri, occidentali e orientali, grandi e piccoli sono fatti di sofferenza nelle fondamenta? Secondo Leopardi nessuno. Per questo egli auspica che gli uomini si rendano conto del destino di sofferenza che li accomuna, e convergano le loro energie nella lotta contro il nemico comune: la natura. Egli spera che possano alleviare le proprie sofferenze amandosi lʼun lʼaltro e aiutandosi. Di certo ciò non basterà a fondare una società felice, ma perlomeno una società dominata dalla giustizia e dalla pietà per il prossimo. Solo così lʼuomo potrà guardare in faccia il suo destino a testa alta, con dignità, come la ginestra che rigogliosa e intatta, in un deserto di pietre, aspetta di essere sepolta dalla lava.
Fabrizio G. Vaccaro

mercoledì 8 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 4/17

La ginestra o il fiore del deserto è la penultima lirica di Giacomo Leopardi, scritta nel 1836 e pubblicata postuma nellʼedizione dei Canti del 1845. Rappresenta il momento culminante della poetica leopardiana e una sorta di testamento spirituale del poeta.
I STROFA. Il canto si apre con la descrizione di un paesaggio, le pendici del Vesuvio, su cui fiorisce la Ginestra. Il luogo al poeta sembra il più adatto a dimostrare la sua tesi di una natura "matrigna", indifferente alle sorti umane, e della pochezza dellʼuomo, che nulla può contro di lei. Da qui lo spunto polemico contro le idee del secolo, che esaltano "le magnifiche sorti e progressive" dellʼumanità, affidate al progresso scientifico, economico e sociale.
II STROFA. Leopardi si rivolge alla sua età chiamandola "secol superbo e sciocco", e le rimprovera di aver abbandonato la via del pensiero moderno, "risorto" col Rinascimento dopo la barbarie e la superstizione medievale e sviluppatosi fino ai traguardi dellʼIlluminismo. Lʼetà moderna arretra davanti alle scoperte del pensiero razionalista e materialista, perchè rifiuta la verità della sorte infelice e della scarsa importanza assegnati allʼuomo dalla natura, e vilmente si aggrappa agli inganni della religione.
III STROFA. Il poeta ritiene che chi esalta la condizione umana e promette un futuro luminoso di progresso ("eccelsi fati e nove felicità") non sia uno spirito grande, ma uno stolto. Di contro la vera nobiltà dʼanimo consiste nel guardare coraggiosamente in faccia il destino comune, nel dichiarare la verità sulla umana miseria, senza togliere nulla al vero, nel sopportare la sofferenza con animo "grande e forte", nel mostrarsi solidale con gli altri uomini. Le ragioni profonde di questa solidarietà stanno nel riconoscere che la vera causa del male non sta negli altri uomini, ma nella natura "che dè mortali / madre è di pianto e di voler matrigna". Ne consegue che il saggio considera gli uomini tutti alleati tra loro, tutti li ama ed è pronto a soccorrerli e a chiedere il loro aiuto. La solidarietà umana, in un atteggiamento di resistenza contra l'empia natura", rappresenta lʼunica forma di progresso possibile: anche se non elimina la condizione di infelicità esistenziale dellʼuomo, permette una società più giusta e più civile, garante di valori come la rettitudine, la giustizia, la compassione.
Nella IV strofa il poeta torna al paesaggio desolato dellʼinizio, e si rappresenta seduto sulla lava pietrificata di notte. La vista del cielo stellato, che si specchia nel mare, gli suggerisce una profonda meditazione-contemplazione sullʼuniverso infinito, in cui non solo lʼuomo, ma la terra e lʼintero sistema solare sono grandezze insignificanti. Eppure, di fronte a queste verità accertate dalla scienza, lʼuomo continua a proclamarsi signore e fine dellʼuniverso, in una visione antropocentrica ormai insostenibile; persino lʼetà moderna, che sembra superare tutte le altre in conoscenze e civiltà, torna a rinnovare queste pericolose illusioni, queste "superbe fole".
Nella V strofa
ritorna il motivo del potere distruttivo della natura, illustrato questa volta dalla similitudine tra "un piccol pomo" che, cadendo dallʼalbero, distrugge un formicaio, e lʼeruzione del Vesuvio, che ha distrutto Ercolano e Pompei. Il poeta conclude che la natura non ha più riguardo per lʼuomo che per la formica, ma mostra per tutte le creature la stessa indifferenza.
VI STROFA. La riflessione si sposta sul tempo. Sono passati mille e ottocento anni, dice il poeta, dalla catastrofe, eppure ancor oggi il contadino che abita le pendici del vulcano osserva con timore la "vetta / fatal, che... ancor siede tremenda, ancor minaccia" ed è pronto a fuggire, abbandonando la casa e i poveri averi, al manifestarsi di indizi di pericolo. Torna alla luce, grazie agli scavi archeologici, "l'estinta / Pompei come sepolto / scheletro", e la "cresta fumante" del Vesuvio pare ancora minacciare le sue sparse rovine. Così, conclude il poeta, mentre passano i secoli, cadono regni, lingue, popoli, culture, la natura resta sempre giovane e se si evolve, lo fa in tempi così lenti da sembrare immobile. Eppure lʼuomo pretende di essere eterno.
VII STROFA. Il canto si conclude in modo “circolare”: il poeta, come nellʼapertura, si rivolge alla ginestra, che adorna il terreno desolato, in attesa di soccombere alla violenza della lava. Lʼarbusto fiorito rappresenta la sorte comune delle creature, destinate a chinare il capo alle crudeli leggi della natura. Tuttavia la pianta gentile appare più saggia dellʼuomo e rappresenta per lui un modello, in quanto pare aver accettato con dignità il suo destino.
Fabrizio G. Vaccaro

venerdì 3 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 3/17

II
LINGUA ITALIANA
LA GINESTRA DI GIACOMO LEOPARDI

Dalle conquiste di Alessandro si ricava una speranza tuttora presente nellʼuomo contemporaneo: il superamento delle diversità come muri invalicabili. LʼEllenica e la Persiana erano due civiltà diverse tra loro, che per decenni si erano guardate con sospetto. Ma durante lʼellenismo si assistette a un completo sincretismo antropologico-culturale tra esse. Oggi, a più di duemila anni di distanza, molti si augurano che ciò possa ripetersi in molte regioni del pianeta dove le differenze religiose ed etniche, o gli interessi economici, si intrecciano nellʼalimentare perpetui stati di guerra. I 14 punti di Woodrow Wilson (1918), la nascita dellʼONU (1945), lʼaver vissuto il dramma di due guerre mondiali non è bastato a migliorare la situazione. Ciò appare in particolare su una regione della terra che appare particolarmente dilaniata dallʼodio, talora fomentato ad hoc da potenze straniere per garantirsi interessi economico-politici su di essa: il Medio Oriente. Lʼoperazione Piombo Fuso del Dicembre 2009, le minacce al mondo occidentale dellʼiraniano Ahmadinejad, lʼoccupazione statunitense di Iraq e Afghanistan, la nascita del terrorismo islamico sono tutti fattori che ci fanno comprendere come la zona sia una bomba ad orologeria che in tutti modi i paesi del primo mondo cercano di disinnescare e piegare ai propri interessi. A inizio Novecento la zona era cruciale dal punto di vista logistico, posta al centro dei tre continenti asiatico, africano, europeo. Nella seconda metà del Novecento a ciò si aggiunse la scoperta dei più grandi giacimenti petroliferi del pianeta, una fonte di energia indispensabile per lo sviluppo del primo mondo. E così lʼinvadente interesse dellʼOccidente, ma anche dellʼURSS della guerra fredda, per questo angolo di terra dal glorioso passato ha generato violenza e odio ancora lontani dallo scomparire. Lʼelenco delle guerre succedutesi in questa regione è infatti lunghissimo.

Tutto ciò non può che riportare al pensiero espresso nella “ La ginestra o il fiore del deserto” da un grande del XIX secolo: Giacomo Leopardi. Ci si riferisce in particolare al seguente passo:
[...]
Nobil natura è quella
che a sollevar s'ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
115. nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
120. fraterne, ancor più gravi
d'ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l'uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de' mortali
125. madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l'umana compagnia,
130. tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
135. della guerra comune. [...]
145. Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell'orror che primo
contra l'empia natura
strinse i mortali in social catena,
150. fia ricondotto in parte
da verace saper, l'onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
155. ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel ch'ha in error la sede.
[...]
Fabrizio G. Vaccaro

lunedì 29 novembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 2/17

I
GRECO
L’IMPERO DI ALESSANDRO IL GRANDE

Le vittorie greche di Maratona e di Platea nel 490 a.C. e nel 479 a.C. sembravano aver sancito la definitiva divisione tra mondo ellenico e mondo persiano. Se i persiani, guidati da Dario prima e da Serse poi, avevano dispiegato una gran quantità di forze per fagocitare il mondo delle poleis, quest’ultime non avrebbero mai accettato di essere dominate da bàrbaroi. Tuttavia il destino della Grecia era segnato. E poco più di un secolo dopo altri barbari, i Macedoni, conquistarono, guidati dal re Filippo II, una Grecia stremata dai conflitti interni. Siamo intorno al 337 a.C. . Filippo II non riuscì a consolidare la sua conquista. Dopo il suo assassinio (336 a.C.) nuovo re di Macedonia divenne il figlio ancora 16enne: Alessandro, che la storia avrebbe reso O Mègas Ailèxandros ( Alessandro il Grande). Quest’ultimo, dopo aver completato la sottomissione delle poleis greche, volse il suo sguardo a Oriente, per mettere in pratica un progetto del padre: conquistare l’impero persiano. Nel 334 a.C. , alla testa di un esercito non molto numeroso ma efficientissimo, Alessandro partì alla volta della Frigia dove sbarcò senza incontrare resistenza. Da lì in poi la sua marcia verso lʼinterno fu inarrestabile. Una serie di battaglie vinte, pur avendo a disposizione un esercito numericamente inferiore di quello nemico, lo fecero penetrare in tutta lʼAsia Minore, in Cilicia, Siria, Fenicia, Egitto ( dove fondò Alessandria dʼEgitto ), e poi nel cuore dellʼimpero persiano, a Susa e a Persepoli. Alessandro aveva realizzato lʼutopia di conquistare lʼimpero persiano. Il mondo greco conquistava lʼOriente. LʼOriente penetrava nella cultura greca. E così, quando Alessandro, dopo una spedizione in India, morì ad appena 32 anni nel 323 a.C., aveva già compiuto unʼimpresa epocale: due civiltà, un tempo divise da reciproco odio, erano state unificate.

Non sapremo mai quanto Alessandro fosse realmente cosciente dellʼimportanza di ciò che stava facendo. Tuttavia alcuni provvedimenti ci lasciano intendere che effettivamente egli nutrisse lʼambizione di costruire un mondo cosmopolita: decine di migliaia di Greci furono stanziati in Asia e Africa, in città già esistenti o fondate ex novo; elementi orientali, provenienti da tutto lʼimpero, furono inseriti nei quadri dellʼesercito macedone; la lingua, la religione e la cultura ellenica furono diffuse ovunque, e spesso produssero esiti originali combinandosi con le tradizioni indigene; infine fu imposta una politica di matrimoni fra Greci e donne orientali, che diede origine a una popolazione mista, destinata a diventare la nuova classe dirigente. Ma questo sogno si spense con lui. E lʼunità politica da lui costruita si infranse nelle guerre dei suoi successori ( i diadochi ), che si divisero lʼimpero macedone in diversi regni minori. Le poleis greche avevano definitivamente perso la loro importanza politica, e i cittadini non esistevano più: adesso erano tutti divenuti sudditi. Tuttavia la lingua greca ( la koinè) diventò il veicolo della cultura in tutto il bacino del mediterraneo presso gli intellettuali di Alessandria, Antiochia, etc.. La raggiungibilità dellʼOriente favorì grandi flussi migratori, che determinarono a loro volta una rivalutazione del ruolo della donna e del concetto di matrimonio. LʼOriente cambiò inoltre la mentalità religiosa dellʼuomo, per così dire, Occidentale. Nellʼantico culto degli dei dellʼOlimpo non cʼerano rapporti di trascendenza, ma esclusivamente di rito. DallʼAsia, invece, vennero esportate molte altre religioni che valorizzavano il rapporto interiore con Dio. In generale, perdendo ogni grande sistema ideale, sociale o politico, lʼuomo di questʼepoca comincia a guardare dentro se stesso, nel culto della propria interiorità. Così nascono lʼEpicureismo e lo Stoicismo, due filosofie che si imporranno anche nellʼimminente mondo romano. E non è un caso se nel giro di pochi secoli in questʼarea si svilupperanno anche i monoteismi del Cristianesimo, dellʼIslamismo e dellʼEbraismo, diffusi oggi in tutto il mondo.
Fabrizio G. Vaccaro

venerdì 26 novembre 2010

MEDIO ORIENTE: L'UTOPIA DELLA PACE. 1/17 Tesina - maturità 2010

PRESENTAZIONE

Il percorso multidisciplinare si sviluppa attorno alla regione fisica del Medio Oriente. Si cercherà di mettere in evidenza lʼimportanza di questʼarea negli equilibri storico-politici contemporanei e i pericoli futuri che da essa derivano. Si analizzerà da un punto di vista filosofico, secondo lʼottica hegeliana, la penetrazione statunitense nellʼarea e la politica di esportazione della democrazia inaugurata da George W. Bush nel 2001. Questʼultima, insieme al perdurare del sostegno allo stato di Israele, ha in realtà acuìto uno stato di guerra permanente che da Israele arriva fino al Pakistan passando per Iraq, Afghanistan e dintorni. Neanche lʼEuropa (Madrid 11/3/2004, Londra 7/7/05) è rimasta immune da tale conflitto. E lʼuccisione, da parte dellʼesercito israeliano, di 9 componenti della flottiglia di pace che intendeva rompere lʼembargo su Gaza il 31 maggio di questʼanno mostra quanto la situazione sia bollente. Samuel Huntighton, nel suo saggio "Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale" (1996), sostiene che uno scontro tra civiltà occidentale (fondata sulla tutela delle libertà individuali e dei principi democratici) e civiltà islamica ( subordinata a oscurantisti dettami religiosi ) è inevitabile. Il tema dello scontro di civiltà è altresì sostenuto da parte significativa dellʼintellighenzia mediorientale, che vede nellʼoccidentale un conquistatore da cacciare con lʼausilio della jihad, la guerra santa contro lʼinfedele. A ciò verrà contrapposto il cosmopolitismo perseguito da Alessandro Magno successivamente alle sue conquiste nel IV sec. a.C.. Alessandro riuscì nellʼimpresa di unificare due culture un tempo divise da profonde ostilità: i Greci, sospinti dai Macedoni, penetrarono nel mondo persiano-orientale e a loro volta ne furono catturati. Da questa fusione nacque lʼEllenismo. Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo, i tre grandi monoteismi, sono tutti e tre nati in questʼarea, e si analizzerà lʼingresso della religione cristiana nella letteratura latina grazie anche a grandi personaggi come Tertulliano e SantʼAgostino. Alledivisioni e agli scontri che tuttora per logiche politiche si manifestano nel mondo si contrapporrà lʼilluminata analisi Leopardiana della Ginestra o il fiore del deserto. E su tale filone si proporrà lʼimpegno di Pierre De Coubertin per fare dello sport, a fine ottocento, un motivo di coesione tra i popoli, con la riproposizione delle olimpiadi a partire dal 1896. Dal Medio Oriente, nellʼodierna Turchia, deriva inoltre il Magnetismo. A Magnesia, infatti, Talete di Mileto scoprì tra VII e VI sec. a.C. le proprietà della magnetite. A Cnido, sempre in Asia Minore, Eudosso nel IV sec. a.C., con il metodo di esaustione, elaborò la prima idea di limite matematico. E infine uno sguardo affascinato e amaro allʼuniverso. La scienza umana è alla ricerca di nuove forme di vita extra-terrestri. Qualora dovessimo scoprire di non essere soli, istituiremo lʼennesimo scontro di civiltà? Costruiremo un Medio Oriente extra-terrestre?

Augusta, 25/06/2010

FGV

Fabrizio G. Vaccaro