domenica 12 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 5/17

Lʼultimo dei canti (di Giacomo Leopardi, NDR) ribadisce i punti chiave della leopardiana visione del mondo: lʼidea di una natura matrigna, indifferente alle sorti dellʼuomo; lʼassurdità di ogni antropocentrismo, data la nullità dellʼuomo e della sua storia rispetto allo spazio e al tempo infiniti della vita dellʼuniverso; la necessità per lʼuomo moderno di aderire a un pensiero razionalista e materialista, che ha scoperto verità scientifiche che non possiamo fingere di ignorare; la falsità pericolosa, frutto di ipocrisia o di stupidità, di un ritorno a ideologie irrazionalistiche. Queste idee chiave vengono proposte con un atteggiamento non rassegnato, ma combattivo ed eroico, come è tipico dellʼultima fase della poesia leopardiana. Ci sono però, a questo proposito, alcune novità.
Lʼatteggiamento “eroico” del poeta non si esplica più soltanto in un atto di “resistenza” alla forza malvagia della natura, ma si esprime in una polemica aperta e diretta contro il proprio tempo e le sue tendenze culturali. Alla propria età Leopardi sa di non piacere, eppure non rinuncia al suo dovere di intellettuale, che è quello di usare la parola per render testimonianza al vero. Il suo pensiero, inoltre, ed è questa la maggiore novità, non svolge più soltanto una funzione demistificatoria, distruttiva di tutti i falsi miti della modernità, ma presenta anche una parte costruttiva: lʼidea che, sulla base del "verace saper" della filosofia materialista, diffuso tra gli uomini, si possa costruire una società più giusta, più solidale, dove i conflitti siano superati in nome di unʼalleanza tra tutti gli uomini, fondata sulla consapevolezza della comune fragilità naturale. Alla falsa idea di un progresso basato sulle conquiste tecnologiche, che avrebbero assicurato il dominio sulla natura e lʼabbondanza dei beni, Leopardi contrappone la prospettiva di un progresso civile e morale, fondato sulla pessimistica consapevolezza dei “limiti” esistenziali dellʼuomo, che mai potrà vincere la morte o dominare lʼuniverso infinito.
Si nota come Leopardi attribuisca un diverso valore alla ragione nella Ginestra rispetto alle opere precedenti. Qui Leopardi esalta la ragione, che ha fatto risorgere lʼuomo dalla barbarie e lo ha fatto crescere in civiltà. In precedenza lʼaveva deprecata in quanto rea di aver spento le illusioni, spingendo la società al tedio e allʼinerzia. Adesso Leopardi affida allʼintellettuale il compito di diffondere il vero, anche per spingere gli uomini a costruire una società più giusta; in passato aveva sostenuto che lʼintellettuale dovesse diffondere il bello, le illusioni, unico conforto per gli uomini condannati allʼinfelicità.
Dunque Leopardi, attraversate le fasi del pessimismo individuale, del pessimismo storico, e del pessimismo cosmico, matura al finir della sua vita lʼauspicio di una società dominata dalla solidarietà. Ciò non vuol dire, come si è già avuto modo di appurare, che Leopardi non creda più nellʼimmanenza strutturale del dolore nellʼesistenza. Anche nella Ginestra si rileva che la concezione di Leopardi della natura non è cambiata. Il paesaggio inizialmente descritto non è casualmente un paesaggio arido, quello delle pendici del vulcano, dove si è consumata la distruzione di due città e dei rispettivi abitanti 1800 anni addietro, ma sta ad indicare le difficoltà che incontra lʼuomo, rappresentato dalla ginestra, nella sua vita. "Non ha natura al seme dellʼuom più stima o cura che alla formica" verrà addirittura affermato in seguito, creando un nesso tra la caduta di un pomo che distrugge un formicaio, e unʼeruzione vulcanica che annienta quanto costruito con tanta fatica dallʼuomo di ogni età. In questo canto Leopardi mostra compassione per il genere umano che "dʼeternità sʼarroga il vanto", disprezzo per la sua epoca storica, che rifiuta dʼaccettare la precarietà dellʼesistenza. Insomma: lʼultimo Leopardi non rinnega il pessimismo che ne ha contrassegnato la produzione poetica. Tuttavia individua nella natura lʼunico nemico contro cui lʼuomo deve lottare. Che senso ha, infatti, combattere guerre, odiare il prossimo, arricchirsi a spese dei più deboli quando tutti, ricchi e poveri, occidentali e orientali, grandi e piccoli sono fatti di sofferenza nelle fondamenta? Secondo Leopardi nessuno. Per questo egli auspica che gli uomini si rendano conto del destino di sofferenza che li accomuna, e convergano le loro energie nella lotta contro il nemico comune: la natura. Egli spera che possano alleviare le proprie sofferenze amandosi lʼun lʼaltro e aiutandosi. Di certo ciò non basterà a fondare una società felice, ma perlomeno una società dominata dalla giustizia e dalla pietà per il prossimo. Solo così lʼuomo potrà guardare in faccia il suo destino a testa alta, con dignità, come la ginestra che rigogliosa e intatta, in un deserto di pietre, aspetta di essere sepolta dalla lava.
Fabrizio G. Vaccaro

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