IV
FILOSOFIA
IL PARERE DI HEGEL
Le perplessità restano anche se si ammette che lʼesportazione dei prinicipi democratici e liberali siano il reale motivo di questa guerra. Sono in molti infatti a chiedersi se sia possibile imporre con successo la democrazia laddove essa non si è spontaneamente sviluppata.
Tale domanda si pose nel XIX secolo Georg Wilhelm Friedrich Hegel ( 1770-1831). La sua risposta fu no. Sia nellʼEnciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817) che nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel sostiene che la costituzione, intesa come organizzazione dello Stato, non è il frutto di unʼelucubrazione a tavolino, ma qualcosa che sgorga necessariamente dalla vita collettiva e storica di un popolo. Così se si vuole imporre a priori una costituzione a un popolo ( come fece Napoleone con gli Spagnoli) inevitabilmente si fallisce, anche se la costituzione proposta è senzʼaltro migliore di quella esistente. Ogni popolo ha la costituzione che gli è adeguata.
Ciononostante Hegel individua unʼorganizzazione dello stato superiore alle altre, in quanto risolve organicamente in se stessa le forme classiche di governo: monarchia, aristocrazia, democrazia. Tale costituzione è rappresentata dalla monarchia costituzionale moderna, un organismo politico che prevede una serie di poteri distinti, ma non divisi, tra loro: sono i poteri legislativo, governativo e principesco ( lʼamministrazione della giustizia nel sistema hegeliano fa parte della società civile).
Il potere legislativo, che rappresenta il potere della pluralità in genere, consiste nel "potere di determinare e stabilire lʼuniversale" e "concerne le leggi come tali". A tale potere concorre "lʼassemblea delle rappresentanze di classi", che trova la propria espressione in una Camera alta e in una Camera bassa.
Pur insistendo sullʼimportanza mediatrice dei ceti Hegel si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che questi, per loro natura, siano inclini a far valere gli interessi privati "a spese dellʼinteresse generale". Inoltre, esplicitando ancora una volta la propria lontananza dal pensiero democratico, Hegel annovera, tra le "storte e false" opinioni correnti, quella per cui "i deputati del popolo o magari il popolo debba intendere nel miglior modo quel che torni al suo meglio", giungendo ad affermare che i membri del governo "possono fare ciò che è il meglio senza i ceti", in quanto essi conoscono i bisogni e gli affari dello Stato, mentre il popolo "non sa ciò che vuole" (Lineamenti, par.301).
Il potere governativo, o esecutivo, che rappresenta il potere di alcuni, comprende in sè i poteri giudiziari e di polizia operanti a livello della società civile. Consiste nello sforzo di tradurre in atto, in riferimento ai casi specifici, lʼuniversalità delle leggi. A questo compito sono adibiti i funzionari dello Stato.
Il potere del principe, il potere di uno solo, rappresenta lʼincarnazione stessa dellʼunità dello Stato, cui spetta la decisione definitiva circa gli affari della collettività. Ma al di là di ogni enfasi la funzione del monarca sembra consistere, in ultima istanza, nel "dire sì e mettere i puntine sulle i" (Lineamenti, par. 280). Pertanto, il vero potere politico, nel modello costituzionale hegeliano, è il potere del governo. Vera classe politica sono i ministri e i pubblici funzionari.
Per quanto riguarda il diritto esterno dello Stato, Hegel dichiara che non esiste un organismo superiore in grado di regolare i rapporti inter-statali e di risolvere i loro conflitti. In altre parole non può esistere alcun giudice o pretore in grado di esaminare le pretese degli stati. Il solo giudice o arbitro è lo spirito universale, cioè la storia, la quale ha la guerra come suo momento strutturale. Il filosofo tedesco sostiene, con un paragone famoso, che come "il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole", così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua ( Lineamenti, par. 234).
Ciò ovviamente si concilia con le tesi di fondo dellʼidealismo del filosofo, secondo cui il finito ( la realtà) è manifestazione e momento necessario dellʼinfinito. Tale infinito è un soggetto spirituale in divenire, di cui tutto ciò che esiste è momento o tappa di realizzazione. La realtà, essendo un momento necessario del processo dialettico di auto- produzione dellʼinfinito, non può in alcun modo essere diversamente da come è. Come appare scritto nei Lineamenti della filosofia del diritto, ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale. Vi è dunque una necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione. E la filosofia viene paragonata alla nottola di Minerva, che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà è già bellʼe fatta. Per ciò la filosofia non può stabilire come deve essere la realtà ( come avevano fatto gli illuministi, Kant e continuavano a fare alcune frange romantiche), ma giustificare come essa è. Tutto è manifestazione dello spirito, lʼinfinito, che attraverso lʼuomo, nelle forme dellʼarte, della religione e della filosofia, giunge a prendere coscienza di sè. Il particolare, attraverso il processo dialettico di tesi, antitesi e sintesi, si risolve sempre nel generale. Da ciò la critica ai modelli statali liberale, democratico, contrattualistico e giusnaturalistico. Lo stato etico, incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune, non può essere subordinato alla tutela degli interessi particolari degli individui, e dunque alla società civile, come uno stato liberale; la sovranità non risiede nel popolo bensì nello stato stesso, al di fuori del quale il popolo è solo una massa informe; la vita sociale non può derivare da un contratto scaturiente dalla volontà arbitraria degli individui e non possono esistere diritti naturali prima e oltre lo Stato.
Insomma per Hegel sarebbero giustificabili le campagna militari in Medio Oriente per salvaguardare interessi economici, ma sarebbe privo di senso cercare di imporre ai popoli di questa regione costituzioni democratiche sullo stile di quelle occidentali.
Fabrizio G. Vaccaro
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