sabato 18 dicembre 2010

MEDIO ORIENTE. L'UTOPIA DELLA PACE. 6/17

III
STORIA
LE GUERRA IN MEDIO ORIENTE

In realtà la modernità di questo pensiero stride notevolmente con la condotta dellʼuomo di tutte le epoche. La guerra ha sempre segnato la storia. Molte volte la guerra ha fatto la storia. Ma mai si è assistito a un concentrato di violenza come quello del XX secolo, il successivo al secolo di Leopardi. Invece di mettere il progresso tecnologico raggiunto al servizio dellʼuomo e della ricerca contro le malattie, è stata investita la maggior parte delle risorse nella lotta contro gli altri uomini. Grandi cervelli ( basti pensare al Progetto Manhattan) sono stati sfruttati per costruire armi distruttive, e ciò continua tuttora. Alla sofferenza si aggiunge altra sofferenza.
Nonostante i terribili accadimenti del XX secolo, le guerre continuano anche nel terzo millennio dellʼera cristiana. Proprio il Medio Oriente vive oggi un clima di guerra permanente, che trova unʼesemplificazione nellʼatavica situazione arabo-israeliana.
A seguito della prima guerra mondiale e della dissoluzione dellʼimpero ottomano, la Società delle Nazioni aveva affidato il Medio Oriente a Francia e Gran Bretagna attraverso dei mandati. Gli stati che vennero formati non smisero mai di essere economicamente sfruttati e politicamente influenzati dalle potenze occidentali, anche se nel corso degli anni venti alcuni di loro ottennero lʼindipendenza politica. Eʼ nel 1945 che ufficialmente tali paesi cercano di aumentare il proprio peso politico rispetto alle grandi potenze dellʼOccidente industrializzato, con lʼistituzione dellʼorganizzazione politica internazionale della Lega Araba. Essa fu fondata da Egitto, Iraq, Transgiordania, Libano, Arabia Saudita e Siria, e comprende oggi anche i paesi arabi dellʼAfrica mediterranea e tutta la penisola arabica.
Tuttavia il mondo arabo era solo apparentemente omogeneo per tradizione storica e orientamento religioso, e profondamente diviso al suo interno, soprattutto per la frattura tra musulmani sciiti e sunniti. Su queste divisioni, memori del motto Divide et Impera, fecero leva Stati Uniti e URSS, poco inclini a rinunciare al controllo su unʼarea dello scacchiere internazionale decisiva per la produzione di petrolio e gas naturale, fonti di energia indispensabili per lo sviluppo economico. Si riprodusse così nello scenario mediorientale la contrapposizione bipolare: Siria, Egitto e Iraq, con regimi di tipo socialista, si avvicinarono allʼorbita dellʼURSS, mentre le monarchie tradizionaliste come la Giordania e lʼArabia Saudita entrarono nellʼorbita statunitense.
In questo contesto lo stato di Israele, creato nel 1948, divenne un importante alleato filo-occidentale, una porta sempre aperta per il Medio Oriente. E da parte sua potè sempre avvalersi dellʼaiuto di Washington nella continua lotta per la sopravvivenza. Il diritto a un focolare ebraico in Palestina, secondo quanto auspicato dal movimento sionista, era stato riconosciuto dalla Gran Bretagna con la dichiarazione di Balfour già nel 1917; ma fu con lʼasprezza dellʼantisemitismo nazista che il numero di ebrei in Palestina aumentò a dismisura. Ciò suscitò un profondo risentimento tra gli arabi, che vedevano nella presenza sionista una minaccia alla loro stessa sopravvivenza. Nel 1947 lʼONU deliberò la creazione di due stati autonomi, uno ebraico e uno palestinese, ma la possibilità di una conciliazione era già allora compromessa dagli squilibri e dalle tensioni presenti nellʼarea. La popolazione locale considerava sempre più i nuovi arrivati alla stregua di invasori, reagendo con attentati e azioni di guerriglia. Gli ebrei, dʼaltro canto, senza tenere conto della situazione di fatto, rivendicavano diritti originari che il tempo aveva ormai cancellato, mentre frange più estremiste assumevano atteggiamenti tanto prevaricanti da innescare un conflitto che la Gran Bretagna non era più in grado di controllare.
Così nel 1948 Londra annunciò lʼintenzione di volersi ritirare dalla Palestina entro il 15 Maggio. Il 14 maggio 1948 lʼallora capo del governo provvisorio ebraico in Palestina, David Ben Gurion, proclamò unilateralmente la nascita dello Stato di Israele, che non fu mai unanimemente riconosciuta. La guerra che immediatamente ne seguì, la prima di una lunga serie, vide la sconfitta della Lega Araba e lʼestensione dello stato di Israele oltre i confini fissati dallʼONU nel 1947. I palestinesi lasciarono in 900.000 il paese, riparando nei paesi vicini, in Libano e soprattutto in Giordania; quelli rimasti furono relegati nelle strisce di Gaza e della Cisgiordania.
Oggi lo stato di Israele è diventato, grazie anche agli ininterrotti flussi finanziari provenienti dalle comunità ebraiche di tutto il mondo, una potenza tecnologicamente ed economicamente avanzata, allʼinterno di unʼarea segnata dalle eredità coloniali e del sottosviluppo.
Ma lʼOccidente non si è fermato a questo. Le due crisi petrolifere del 1973 e del 1979 furono la prova della precarietà del controllo occidentale sui paesi arabi, e del rischio che ciò rappresentava per le loro economie. Così si spiegano una serie di azioni politico-militari volte in primo luogo a piegare i regimi avversi allʼOccidente, in secondo luogo a favorire lʼinstaurazione di governi filo-occidentali contemplando anche lʼintervento diretto ove necessario. Nel 1980 gli Stati Uniti sostennero lʼIraq, guidato da Saddam Hussein, nella sanguinosissima guerra Iran-Iraq protrattasi ufficialmente fino al 1988, de facto fino al 1990. Gli USA infatti, ma anche lʼURSS che nel frattempo invadeva lʼAfghanistan, mal sopportavano il consolidamento di uno stato islamico in Medio Oriente, qualʼera lʼIran della rivoluzione del 1979, spregiudicatamente anti-occidentale.
La guerra Iran-Iraq si concluse con un nulla di fatto, ed entrambi i paesi ne uscirono duramente provati. Così, quando lʼIraq invase nel 1990 il piccolo stato del Kuwait, gli Stati Uniti, forti del declino del loro rivale sovietico, nel Gennaio del 1991, alla guida di una coalizione multinazionale che comprendeva lʼArabia Saudita ma non lo stato di Israele, sotto lʼegida dellʼONU, ordinò lʼinizio dei bombardamenti sullʼIraq. Lʼindipendenza del Kuwait fu salvaguardata, lʼIraq messo in ginocchio, ma Saddam Hussein rimase al potere in assenza di valide alternative.
Lʼopera di penetrazione in Medio Oriente fu completata dagli USA nel 2003. Nel 2001, a seguito degli attentati terroristici dellʼ11 settembre dello stesso anno, una coalizione Occidentale aveva già invaso lʼAfghanistan, con lʼavallo dellʼONU, per liberarlo dal regime talebano. LʼAfghanistan fu infatti considerato il covo del terrorismo internazionale e del suo leader, Osama Bin Laden, capo di Al Qaeda, mai catturato.
Nella primavera del 2003 le forze di una coalizione anglo-americana furono inviate in Iraq dal presidente George W. Bush e dal primo ministro britannico Tony Blair, senza lʼavallo dellʼONU, per provocare il crollo del regime di Saddam Hussein. Il pretesto fu quello del possesso da parte dellʼIraq di armi chimiche, secondo un dossier consegnato alla CIA dal SISMI, che però mai sono state trovate. Le operazioni militari non presentarono problemi e Saddam Hussein fu deposto e giustiziato nel 2006.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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