È purtroppo diventata una consuetudine dolorosa leggere sulle prime pagine dei quotidiani, specialmente quelli a diffusione locale, la notizia di qualche giovane vita stroncata in un incidente automobilistico. Per lo più si tratta di ragazzi di ritorno da una nottata trascorsa in un locale. Spesso chi guida è di sesso maschile. La notte del sabato è l'intervallo temporale in cui più di frequente succedono gli incidenti. Si tratta, difatti, della serata canonicamente consacrata dai giovani, liberi da impegni di lavoro o di studio, al divertimento.
Quando le vittime di queste sciagure soprav- vivono, può accadere che i postumi consistano in deficit cognitivi e motori talmente gravi da impedire loro di condurre un'esistenza soddisfacente. Si hanno allora famiglie messe a dura prova, progetti esistenziali in fumo, sofferenze fisiche e psicologiche indicibili, bisogni assistenziali che richiedono la presenza costante di una persona 24 ore su 24, per il resto della vita. Tutto come conseguenza dell'errore di un attimo. Si sono approntate in questi ultimi anni molte misure per contenere il fenomeno. Purtroppo i risultati non sono sempre stati incoraggianti. Mi sembra, tuttavia, che molte delle misure proposte: limiti di velocità, chiusura anticipata dei locali, patente a punti, siano ragionevoli e che non si può che proseguire con tenacia in questa direzione, magari adottando qualche nuova norma. Personalmente sono favorevole anche alle misure repressive: chi viola il codice della strada, chi guida in modo pericoloso o in cattive condizioni psicofisiche va punito. Sono convinto che il permissivismo, nella società contemporanea, si trasformi troppo spesso in disinteresse e lassismo. La società deve, a mio avviso, tutelare i diritti di tutti, ma nel contempo richiamare ognuno ai propri doveri e alle proprie responsabilità. Abbiamo tutti il dovere di proteggere e nel contempo di proteggerci. Anzitutto, credo sia giusto cercare di correggere le cause che portano a questi dolorosi eventi. Bisognerebbe forse cominciare col progettare e costruire strade più sicure; non è raro vedere in Italia il manto stradale ridotto in condizioni pietose, con grosse buche, prive di segnaletica adeguata o di protezioni in prossimità di canali e precipizi. Poi sarebbe bene costruire veicoli provvisti di tutti quei dispositivi di scurezza (air-bag, sistemi di frenatura ABS, computer di bordo, ecc.), che la moderna tecnologia ci mette a disposizione. Infine, l'educazione stradale andrebbe insegnata in maniera più intensiva, partendo già dalla scuola dell'obbligo o anche prima, compatibilmente con le capacità di apprendimento dei bambini. Nella consapevolezza, comunque, che si tratta di soluzioni utili, ma parziali. Secondo me, infatti, i problemi sostanziali vanno ricercati in un altro contesto.
A mio avviso, i problemi fondamentali, le cause prime, sono prevalentemente di ordine psicologico, sociale e culturale. La nostra epoca vive nel segno della velocità, dell'efficienza, della competizione e del consumo. Le industrie automobilistiche costruiscono vetture sempre più veloci, che tentano di imporre sul mercato con pubblicità nello stesso tempo seducenti ed aggressive. La macchina potente e veloce è sinonimo di successo, integrazione, conquista sessuale. Andando più in profondità, molti ragazzi sembrano agiti da una pulsione di morte, da una disperante autodistruttività. La cultura in cui sono immersi è concentrata più sugli oggetti che sulle persone; produce alienazione, mancanza di significato, disorientamento. La famiglia e le altre istituzioni tradizionali sono in crisi, il mondo del lavoro non sembra offrire ai giovani gli sbocchi occupazionali desiderati. I legami sociali si allentano, la comunicazione, anche all'interno del gruppo dei pari, appare superficiale; malgrado il diffondersi di nuove opportunità, quali l'e-mail e il telefonino, i giovani appaiono sempre più soli. Per questo molti ragazzi cercano lo stordimento per vincere le angosce o il vuoto interiore: l'alcool, le droghe, la musica ad alto volume. Non a caso, è di frequente riscontro, in chi era alla guida in caso di grave incidente, l'abuso di sostanze tossiche. Certo, bisogna distinguere caso per caso. Non si può generalizzare; tanto meno fare del facile moralismo: nessuno possiede la ricetta infallibile del buon vivere, siamo tutti allievi alla scuola della vita. Tuttavia, cercare di restituire un senso all'esistenza di ognuno di noi mi sembrerebbe un percorso praticabile. Impegnandoci, per esempio, in attività che non abbiano soltanto uno scopo utilitaristico, ma coinvolgano la solidarietà con gli altri, ci consentano di vivere con e per gli altri. Coltivare la sfera spirituale e non solo quella materiale. E se proprio non si riesce ad uscire da una dimensione competitiva, capire che la vita non ci richiede che di rado la brillantezza del centometrista, bensì la durata, la pazienza e la ponderazione del fondista. E, soprattutto, che non è necessario arrivare sempre primi.
Lorenzo Steno
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