65 anni fa il campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall’Armata Rossa di Stalin. Si apriva agli occhi del resto dell’umanità una verità che solo in parte si immaginava, cui solo in parte si credeva. Centinaia di uomini, donne e bambini scheletro con occhi vitrei e inespressivi; centinaia di cataste di ossa in attesa di essere bruciate nei forni crematori costantemente fumanti; odore di morte e dolore in ogni parte. Sono queste le immagini che per sessant’anni i filmati degli Alleati hanno diffuso, agghiacciando e sdegnando anche i meno sensibili. Ancora oggi si prova un giustificato senso di stupore e di meraviglia a guardarle. E ci si chiede: A questo punto può arrivare l’umana follia? E’ possibile che 11.000.000 di uomini vengano sterminati soltanto perché nati ebrei, zingari, testimoni di Geova, omosessuali, senza che nessuno si ribelli? Gli ebrei eliminati fra il ’38 e il ’45 nei lager dell’Europa centrale furono circa sei milioni, i due terzi degli ebrei europei. Il campo di Auschwitz, in Polonia, in questo era un mirabile esempio per tutti gli altri lager: per Hitler divenne una macchina di sterminio quasi perfetta. Vagoni carichi di ebrei arrivavano continuamente, dopo giorni e giorni di viaggio in condizioni disumane. E una volta arrivati al campo la prassi era inesorabilmente sempre identica. Tutti venivano spogliati dei propri averi (denti d’oro, capelli, gioielli, vestiti): dopo di che gli inabili al lavoro, donne, bambini e anziani venivano immediatamente eliminati nelle camere a gas; mentre agli altri veniva riservato un destino diverso: lavorare nel campo fino ad esaurire ogni risorsa.In questo non erano mai soli: la fame, la sete, il dolore, le sevizie di SS che per evitare di essere chiamate al fronte si dimostravano più brutali possibile, il terrore di essere scelti come cavie umane per gli esperimenti degli studiosi nazisti, erano compagni giornalieri. Solo pochi “fortunati” sono riusciti a sopravvivere, quasi dimenticando di essere uomini e accettando le più grandi umiliazioni. Oggi sono loro la vera testimonianza di quanto accaduto solo poche decine di anni fa. Il loro sguardo sembra quasi incapace di essere sereno e spensierato: solo lui sa le vere lordure cui ha dovuto assistere. Anche per omaggiare loro si ripete spesso la sigla “PER NON DIMENTICARE”, e fortunatamente non lo si è fatto ancora. Probabilmente mai lo si potrà fare. Tuttavia è bene e necessario che non ci si limiti a fare solo questo: l’uomo ha anche il dovere di non ripetere certi errori, il dovere di rispettare le diversità, il dovere di non violare mai la dignità di un altro uomo. Non dimentichiamo, allora, che fino a vent’anni fa nei gulag dell’URSS avveniva la stessa identica cosa che avveniva nei lager del Reich, non dimentichiamo che in Cina muoiono tutt’ora migliaia di persone uccise sistematicamente dalle leggi del Governo, non dimentichiamo in Iraq i migliaia di migliaia di Curdi sono stati gassati per non avere problemi e i migliaia di italiani infoibati perchè nel posto sbagliato al momeno sbagliato. E allora: non dimenticare, non cadere mai negli errori del passato, non farsi trascinare dalla natura violenta presente in ognuno, cercare di riflettere su quanto l’uomo sia riuscito a fare a se stesso.
Augusta, 26/01/2008
Fabrizio Vaccaro
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