Stavolta il colore della protesta è il verde. Non è un caso che sia il colore dell’Islam e che gli ayatollah siano destinati, nell’Iran di Ahma- dinejad ad avere un ruolo sempre meno centrale nella guida del Paese. Mousavi, (chi lo definisce moderato dovrebbe leggersi meglio la definizione del termine sul dizionario) cerca di portare la protesta nelle piazze. Una bella carneficina lo renderebbe ancora più gradito all’Occidente e candidato alla successione in un Iran “liberato”. La voglia di cambiamento è legittima, fisiologica. Ma quella dei seguaci di Mousavi è cieca, o quantomeno strabica. Non vede che l’alternativa dell’ex premier è fautrice di quel liberismo i c
ui frutti avvelenati sono drammaticamente emersi negli ultimi mesi in ogni angolo del mondo.
Oltre 10 milioni e 100 mila voti di scarto con il suo più diretto avversario hanno sancito la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni presidenziali iraniane. L’attuale capo dello Stato ha infatti ottenuto il 63,36% delle preferenze contro il 34,07% del suo principale sfidante, il “riformista moderato” Mir Hossein Mousavi. Un gap che non ha impedito al principale avversario di Ahmadinejad di gridare allo scandalo accusando il vincitore di brogli.
Il clima era già stato adeguatamente preparato. Mousavi, non si sa se per reale convinzione o per calcolo, si era autoproclamato vincitore “con un margine importante” a urne ancora aperte e nel frattempo denunciava presunte intimidazioni ai seggi contro i suoi rappresentanti, la mancanz
a di schede elettorali e altre irregolarità nello svolgimento del voto. Ma tant’è, “La differenza nel numero di voti è tale che qualsiasi dubbio sulla sua vittoria sarà interpretato come una forma di umorismo da parte dell’opinione pubblica”, ha commentato il comitato del presidente uscente. Mousavi però aveva preparato bene il terreno, infiammato le platee già prima del voto, facendo intuire ai suoi sostenitori che la vittoria era già cosa fatta. Evidentemente in molti iraniani, quelli che non sono scesi in piazza a sostenere Mousavi, hanno optato per una nuova presidenza Ahmadinejad. Tuttavia il problema, a questo punto, non è più solo iraniano.
La maggior parte dei commenti internazionali accreditano infatti la versione di Mousavi come attendibile nonostante una differenza in termini di voti espressi così macroscopica come quella registrata in Iran renda difficile credere alla possibilità di manipolazioni.
Sul fronte della copertura informativa le versioni più drammatiche sono, non a caso, quelle dei media tutt’altro che teneri con l’amministrazione di Ahmadinejad. La tv satellitare Al Arabiya, il contraltare filooccidentale di Al Jazeera, ha citato sostenitori di Mousavi che avrebbero addirittura parlato di “golpe dei pasdaran”.
Sembrano cose già viste, anche negli anni recenti. Le varie “rivoluzioni colorate” portate in giro per l’Europa dell’est e nei Balcani da associazioni studentesche foraggiate dalla Fredom House e dalla Ned. O, più vicina nel tempo e nel contesto, la cosiddetta Rivoluzione dei cedri che mise al potere in Libano lo schieramento filo-Usa di Saad Hariri.
Tutto ampiamente descritto dai media embedded come una voglia di democrazia, una battaglia per la libertà. Le stesse parole usate durante la campagna elettorale di Mousavi, primo ministro ai tempi della sanguinosa guerra con l’Iraq, quando nelle ambasciate iraniane venivano mostrati trionfalmente filmati dei prigionieri iracheni squartati nelle esecuzioni capitali. Oggi Mousavi è propugnatore dell’impulso al settore delle privatizzazioni e dell’apertura dei mercati iraniani alla globalizzazione. Ed ha una moglie presenzialista che alcuni definivano già la Michelle Obama iraniana (sic). Nel linguaggio occidentale privatizzare fa rima con libertà e dalle nostre parti questo non poteva che essere gradito e trasformato in una patente di “riformismo” e “moderazione” in un Paese definito “conservatore” ed “estremista”. Mousavi, che voci incontrollate (o controllate?) davano domenica agli arresti domiciliari, ha partecipato ieri alla manifestazione indetta contro l’esito del voto, parlando di elezioni manipolate e dicendosi pronto a nuove elezioni. La tentazione di portare lo scontro con Ahmadinejhad nelle piazze è pericolosa e malevola. Se Mousavi è pronto a sacrificare i suoi seguaci per scardinare la vittoria del suo avversario si prospettano tempi veramente bui per l’Iran. Per la gioia di Washington.
Come per quella di Tel Aviv, che già domenica aveva definito una brutta notizia la vittoria di Ahmadinejad. “Il trionfo degli estremisti è una pessima notizia, come dovrebbe essere definita qualsiasi vittoria degli estremisti”, aveva detto il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, evidentemente dimentico del fatto che l’attuale esecutivo israeliano è formato dalla destra più radicale, razzista e antiaraba di Israele.
Da domenica in poi le dichiarazioni dell’occidente allineato, Ue in testa, sono tutto un fiorire di “dubbi seri” sullo svolgimento delle elezioni e “preoccupazioni” per la libertà del popolo iraniano. Tutto già visto. Con altri nomi e altri colori. Speriamo con esiti diversi…
da rinascita.net
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